Le profezie di Domenghini

In un’intervista del 2002 per La Stampa, quello su cui oggi siamo d’accordo (quasi) tutti. Cqru6iXVIAIx7dv

 

Le ali, anche le grandi ali, sono per definizione dei miti laterali: gente che svaria, che non è d’accordo, che al centro ci va poco e tira quando ne ha voglia. Angelo Domenghini fra gli anni 60 e i 70 è stato l’ala per eccellenza del nostro calcio, talento ossuto ma vero, polmoni spalmati sulla fascia, tiro fulminante, cuore, fantasia. In Serie A con l’atalanta a 19anni nel ’61, poi cinque anni con l’Inter conditi da due scudetti, una coppa dei Campioni e una Coppa Intercontinentale, l’epopea e lo scudetto del grande Cagliari, il Mondiale del Messico perso con l’eterno Brasile. «Domingo» 30 anni dopo fa l’osservatore per l’Inter, ha la voce roca ma le idee chiare. «Un calciatore come Domenghini oggi sarebbe il re del mercato». Lo sosteneva Gigi Del Neri qualche mese fa, il diretto interessato è d’accordo?

«Del Neri ha giocato con me nel Foggia, mi fa piacere che lo dica, evidentemente si ricorda del lavoro che facevo in campo. Ma sarebbero in tanti, di quelli che giocavano trent’anni fa, ad essere re del mercato oggi»

Il Chievo ha riportato di moda le ali, ma ci sono dei Domenghini oggi in Italia?

«Non sono d’accordo, le ali, gli esterni come si chiamano oggi, hanno sempre fatto comodo, il problema è che ne sono rimasti pochi. Dieci anni fa ancora ne circolavano, penso ad un Lombardo, al Di Livio dei giorni migliori. Oggi di paragonabili a me mi viene in mente solo Zambrotta, uno che attacca quando c’è da attaccare, che tira, ma che sa anche difendere quando la squadra ne ha bisogno. E’ anche vero che se si gioca con la difesa a 5 con due esterni come Cafu e Candela, le ali non ti servono. Però mi lasci dire una cosa…»

Prego.

«Si parla sempre dei soliti due o tre, Totti, Nesta e Cannavaro, dei nazionali, mentre i giocatori medi, quelli che tirano la carretta, sembra che non esistano neppure. Si sono messi d’accordo perché così si vendono più giornali, ma non è vero che è uno solo che ti fa vincere le partite e i campionati. Ci vuole più rispetto per tutti, e più cultura sportiva nel nostro calcio».

Colpa dei giornalisti?

«Colpa della televisione, dei processi del lunedì, del martedì, del mercoledi, della onnipresente moviola. Apri la televisione e sembra che un fischio dell’arbitro conti più della partita nel suo insieme, è assurdo. La moviola va abolita, perché non crea la cultura sportiva nel tifoso».

Invece si parla di prova televisiva in campo…

«Ma per favore. L’arbitro sbaglia come tutti, e l’attaccante è giusto anche che tenti di ingannarlo, il calcio è sempre stato così. La furberia ci può stare, piuttosto il calcio non si gioca con le mani, in area ormai ci sono delle risse, ci si appende alle maglie. E poi non si punisce chi randella a centrocampo. E se ci scappa qualche ammonizione o il rigore, guarda caso è sempre contro le squadre piccole. Ma anche in questo il calcio è cambiato poco: quando con l’Atalanta si andava a Milano o Torino non ci aspettavamo certo una mano dall’arbitro»

Ha guardato i mondiali? Le sono piaciuti?

«Sono stati i Mondiali più brutti della storia. Però hanno dimostrato che una squadra piccola, ma ben organizzata, può far fuori una grande che pecca di presunzione. Penso alla Corea, o alla Turchia, che ha giocato il miglior calcio del torneo. Ma anche la Spagna, che fa un calcio offensivo. La finale vera è stata Turchia-Brasile, il giocatore che mi è piaciuto di più Raul: uno che in campo dà tutto, peccato si sia infortunato. Ma veniva da 70, 75 partite giocate in tutta la stagione»

Parliamo dell’Italia?

«Una delusione. Bisognava avere più coraggio, mettere dentro anche quattro punte. Invece abbiamo paura di Corea, Messico ed Ecuador, con i risultati che poi si vedono…»

Gli arbitraggi però non ci hanno aiutato…

«Gli arbitraggi a questo punto mi sembrano anche un alibi. Con la Corea dovevamo fare tre gol. O anche cinque»

Colpa della squadra?

«Io dico solo che deve giocare chi è più in forma, invece fra i nostri ce n’erano molti che non ce la facevano. E a casa sono rimasti ad esempio Tacchinardi, Fiore, Ambrosini. Ci sono degli intoccabili, che giocano comunque, anche se sono stati infortunati per mesi»

I nomi?

«Molti nomi»

Capito. Colpa di Trapattoni, allora?

«Guardi, le mie opinioni valgono quello valgono, ma l’ultima cosa di cui ha bisogno il calcio sono le polemiche. Bisogna imparare che nello sport si vince e si perde, e può essere colpa di un palo, di un arbitro, di un allenatore. Bisogna accettarlo. Dovremmo imparare a parlare della partita la domenica e poi a stare un po’ più zitti per il resto della settimana, dare meno valore a quello che succede fuori dal campo. Anche sulle convocazioni: io nel ’66, prima dei Mondiali d’Inghilterra, mi feci 40 giorni di ritiro con la nazionale e poi Valcareggi mi rimandò a casa, ma me ne rimasi zitto».

– Voi nel ’70 perdeste in finale con Pelé e vi toccarono i pomodori, dopo la Corea per Totti & Co solo coccole…

«Se per questo c’erano anche i bastoni. Ma va bene, è giusto così. Al nostro calcio serve entusiasmo, voglia di ricominciare. Lei parla del Messico ma noi  siamo entrati nella storia per un 4-3 maturato in mezz’ora, dopo 90 minuti noiosi, e ci siamo dimenticati che la partita che contava davvero era la finale. Arrivare secondi in un mondiale non conta nulla, se sei il secondo sei un fallito»

Ma quello era un Brasile stellare, altro che quello di Scolari…

«Ma in campo fino al 65esimo eravamo 1-1, e fino ad allora di occasioni ne avevamo avute più noi. Poi siamo crollati in due minuti e loro hanno iniziato a fare il torello».

– Il calcio italiano è da buttare?

«È un calcio scadente. Va bene cercare di non prenderle, ma da noi si esagera con il tatticismo. Basta guardare alle sconfitte che rimediamo in Europa. Mica per i complotti o per il poco peso politico: perché giochiamo peggio degli altri. Ma nessuno lo dice».

– Ci siamo imbrocchiti di colpo o ci sono altri motivi?

«Le società, con pochissime eccezioni, non curano più i vivai, anche perché ci sono queste rose assurde di 35 giocatori che affossano i bilanci. E manchiamo coraggio: se abbiamo paura a far giocare un giovane dell ’83 o dell ’84, quando imparerà? Che esperienza può fare un secondo portiere, se non gioca mai? Prendiamo esempio dalla Francia, che ha il miglior settore giovanile del mondo. Il risultato è che Maccarone se ne va all’estero, fra l’altro insieme ad Albertini, che con tutto quello che ha fatto e ancora poteva fare al Milan avrebbe meritato un altro trattamento».

Questione di moduli, di mentalità?

«I moduli scompaiono quando entri in campo e ti trovi davanti l’avversario. Bisogna ritrovare l’entusiasmo, divertirsi e divertire di più in campo. Oggi si picchia troppo, bisogna tutelare il gioco. Incominciamo a dare 10 rigori a partita, vedrete che le cose cambiano».

Chi vede bene per il prossimo campionato?

«Le solite, Milan e Inter la Juve, le romane. Il Chievo ha una società che lavora bene, un allenatore che sa tirare fuori il meglio da giocatori rifiutati da altre squadre, è un esempio e credo che si ripeterà».

– Le ricorda il Cagliari suo e di Riva?

«Il Cagliari del ’70 aveva dalla sua l’entusiasmo della società e della gente, che oggi manca tanto al nostro calcio. Poi era una squadra forte, che ha saputo mantenersi ad alto livello per quattro anni. Abbiamo vinto solo uno scudetto, è vero ma scontammo anche il fatto di ritrovarci all’improvviso in uno stadio da 60 mila persone, grande, con la pista d’atletica. Nel catino dell’Amsicora, che era al limite del regolamento, sapevamo che potevamo giocare male ma che non avremmo perso. Al Sant’Elia invece gli avversari si sentivano tranquilli»

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