Il rugby si chiama Rugby perché è nato qui, a 130 km da Londra, sul prato di una delle più antiche (anni di fondazione 1567) Independent School d’Inghilterra, dove un tempo si giocava in squadre da 200 persone e con tre alberi in mezzo al campo. Domani a Twickenham con la partita inaugurale fra Inghilterra e Figi inizia la Coppa del Mondo, che per la terza volta in otto edizioni torna nella patria della terra ovale e la cittadina del Warwickshire, 70 mila anime devote a questo sport, ovviamente è in festa. I giornalisti si avvicinano con cautela quasi religiosa ad uno dei tanti ‘giardini’ sacri del paese – Wembley, Wimbledon, Twickenham, The Lord’s… -, visitano la cappella dove è sepolto il granbde Thomas Arnold, il rettore più famoso della storia della scuola, fotografano la targa che ricorda Lewis Carroll (anche lui allievo di Rugby) e quella che celebra il gesto di ribellione di Williams Webb Ellis, il leggendario studente che nel 1823 estrasse il rugby football, come lo chiamano qui, dal magma primordiale di un gioco confuso che seguiva mille codici e nessuno (e da cui nacque 40 anni dopo anche il calcio).
Fu William il primo a scattare verso la meta con il pallone in mano – allora non si poteva – ed è qui che sono state scritte le regole, poi mille volte cambiate, del rugby. Nel museo l’archivista capo Rusty McLean mostra la elegantissima barella di legno con cui venivano trasportati in infermeria gli studenti usciti malconci dal campo. «La scuola fin dal Seicento ha ospitato studenti stranieri – racconta – nello scorso secolo anche italiani: purtroppo nessun giocatore di rugby. Anche se io sono felice di chiamarmi come il vostro estremo…». In città si può ammirare la walk of fame con i nomi dei colossi della storia, nel museo ammirare l’artigiano della ditta Gilbert che ancora cuce a mano i palloni («due al giorno, ma in passato da qui ne uscivano anche otto al giorno, devo migliorare…») o la statua di bronzo di Webb Ellis che sfida le nuvole e la pioggia.
Sono tantissime le curiosità e le storie che legano Rugby al…rugby e alla storia in generale. Se la nazionale inglese veste in Bianco con una rosa rossa come emblema, ad esempio, è perché a Laurent Sheriff, il fondatore della Scuola, Elisabetta I permise di utilizzare la rosa dei Lancaster, che poi venne stampata sulla divisa originariamente candida del club. Ed è nata qui l’usanza di celebrare con un berretto (cap) le presenze in nazionale: nel 1839 la regina Adelaide arrivò in visita alla città e in suo onore gli sudenti sfilarono con un cappellino di velluto. Queen Adelaide volle assistere ad una partita e gli studenti la giocarono indossando il copricapo, dando così origine alla tradizione.
Si può può dire che anche la maratona di Londra ha le sue radici nel Warwickshire. A organizzare la prima edizione, nel 1981, fu infatti un altro ex allievo della Rugby School, Chris Basher, che volle riproporre in chiave moderna la «Crick Run», una delle più antiche corse del mondo nata proprio su questi prati, a Rugby sir Frank Whittle progettò la prima turbina per un jet. Il barone de Coubertin infine decise di far rinascere le Olimpiadi proprio dopo una visita a Rugby, ispirato anche da Tom Brown’s schooldays, un famosissimo libro scritto – inutile dirlo – dall’ennesimo alunno della scuola, Thomas Hughes. Secondo McLean Tom Brown, fra l’altro, non è altro che prototipo di Harry Potter: «Tim è Harry, Thomas Arnold è Albus Silente, Flashman è Malfoy e il Quidditch è una forma di football. E come accade per Harry Potter, i lettori tifano tutti per Tom».
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