Wimbledon, Gasquet e il talento ritrovato

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Lo hanno sempre fregato le intermittente del cuore e del talento, i dubbi che ti crescono dentro e ti lasciano con l’incantesimo a metà. La paura di non essere davvero il buddha che tutti attendono. La voglia, forse, di scappare da un futuro troppo impegnativo. Richard Gasquet torna in semifinale a Wimbledon, otto anni dopo. Nel 2007 a stopparlo fu Federer: sembrava un arrivederci a presto, è diventata una cartolina lontana. Oggi sul Centre Court lo aspetta Novak Djokovic ed è come riaprire una porta chiusa da troppo tempo (da La Stampa).

Nel 2007 Riccardino aveva appena 21 anni ma già un lungo futuro alle spalle, iniziato il giorno che Tennis Magazine decise di sbatterlo in copertina, il rovescio da baby-fenomeno caricato dietro la spalla, lo sguardo fisso ad una pallina gialla che pareva un mondo da scoprire. «Richard G., 9 anni», insinuava il titolo, impalpabilmente morboso. «Il campione che la Francia attende?». Il punto interrogativo è ancora lì che dirama eco maligne, perché Richard nel frattempo è diventato sì un ottimo giocatore – numero 7 del mondo nel 2007, 12 tornei vinti, tre semifinali nello Slam: avercene, in Italia… – ma non è mai veramente diventato Gasquet. Quel Gasquet. Il fuoriclasse che i francesi (e il resto del tennis) si aspettavano.

Fra quella copertina, le sfide da cucciolo vinte con il gemello molto diverso Nadal (sono nati a 15 giorni di distanza), un successo memorabile contro Federer a Montecarlo giocando come si fa solo in Paradiso, e l’ultimo treno che parte oggi da Church Road ci sono stati alti e bassi. Molti coach (compreso il nostro Piatti), parecchi infortuni, delusioni assortite. Qualche scandaletto. Il bacio alla “coca” ad una ragazza in discoteca che gli costò una sospensione, i bisbigli su una presunta omosessualità – tutto sempre negato da Richard. «Ecco, appena vinco una partita mi chiedono come è il “nuovo” Gasquet. Mi viene da ridere, perché si riparte sempre alle solite schifezze. Grazie, stavolta preferirei evitare». 

A parte il fisico un po’ periforme, la camminata basculante, Richard ha ricevuto molto in dono: un braccio unico, un polso superiore – oh yes – persino a quello di Federer. Un rovescio da Hall of Fame, il migliore in circolazione dopo quello di Stan Wawrinka, l’alter ego svizzero di cui mercoledì si è liberato nei quarti. Avrebbe potuto (dovuto?) vincere 2 o 3 Slam, essere un inquilino fisso dei primi 5-10 del mondo. Invece. Per i tecnici la colpa è di quella paura dannata di fare un passo in più dentro il campo. Lui la spiega diversamente. «Ci sono quelli che fin da piccoli vogliono diventare n.1 del mondo, come Djokovic o Nadal; io volevo solo divertirmi. Quando a 16 anni ho iniziato a diventare forte, fu uno choc. E a un bambino di nove anni oggi direi: lascia perdere». 

Per vincere degli Slam devi avere quintali di autostima. Meglio, di presunzione: «ho sempre sognato di vincerne uno, la verità è che non sono abbastanza forte. Anche stavolta, guardate gli altri tre: Djokovic, Federer, Murray. Quello scarso sono io. Ma va bene così. Adoro il tennis. L’importante è stare in campo e godersi l’emozione». Un francese malinconico, che giocava a tennis come Richard, ha scritto che la memoria è un palazzo sommerso che ogni tanto riaffiora. Basta il sapore di un dolcetto. O magari l’odore dell’erba. Godiamoci Gasquet, e il suo talento ritrovato.

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