Timea Bacsinszky, per amore del tennis

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Timea Bacsinzsky sa benissimo perché gioca a tennis. Per lo stesso motivo per cui, a 12 anni, in un tema a scuola aveva scritto: «da grande voglio fare la cameriera». Pare strano, ma se ve lo spiega lei tutto sembra facile. Quasi evidente. «Andare al ristorante, o magari passare una notte in un bell’hotel, per molta gente è un avvenimento», spiega Timea dopo aver eliminato Caroline Wozniacki negli ottavi di Wimbledon. «Non tutti hanno i soldi per permetterselo, come capita a noi tennisti. Magari vanno solo a prendersi un caffè, così quando facevo la cameriera cercavo di rendergli quei cinque minuti i più felici che potevo. Ho sempre voluto essere d’aiuto, chiacchierare con la gente, offrire, dare qualcosa. Anche cucinando, perché in fondo cucinare per qualcuno è un atto d’amore. Quando soffri tanto alla fine ti viene spontaneo: diventi altruista. Vuoi che gli altri siano felici. Forse perché dentro di te non sei così felice».

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Timea è svizzera, ha 26 anni, è nata a Losanna, è n.15 del mondo. E’ stata una baby-fenomeno, e poi, per colpa del solito padre-padrone, una ragazzina infelice. «Da piccola non volevo diventare una tennista- racconta – ma non ho avuto scelta. Giocavo bene, e mio padre non era d’accordo che diventassi una cameriera». Semplicemente perché papà Igor, ungherese trapiantato in Svizzera, era, lui sì, ossessionato dall’idea di diventare famoso, anche se per interposta persona. Il più famoso coach del mondo, l’allenatore di una number one. Così Timea doveva pensare solo ad allenarsi, a vincere, tagliando i ponti con il resto del mondo. Se non lo faceva piovevano schiaffi, urli, tirate per i capelli. «Volevo vivere, ma lui me lo impediva. Un giorno una mia amica mi chiamò per invitarmi al suo compleanno, ma mio padre mi strappò il telefono per urlarle di non chiamarmi mai più». Il punto di non ritorno. Così la Bacsinzsky nella sua prima vita nel tennis è arrivata sì a n.40 del ranking mondiale, poi però ha detto stop. Qualche tempo prima aveva a convinto sua madre a divorziare dall’orco, per un anno si è convinta che il suo destino era davvero fare la cameriera, come sognava da piccola. Si è iscritta a una scuola alberghiera in Svizzera, ha seguito uno stage, ha iniziato a lavorare. Era felice. Fino a quando, nel 2014, non è arrivata una lettera della federazione francese che la invitava a giocare le qualificazioni del Roland Garros. «Perché no?», si è detta Timea, che nel frattempo aveva interrotto tutti i rapporti con il padre. Così con il suo sorriso dolcissimo, i suoi occhioni azzurri, ha ricominciato a servire prime palle, invece che caffè ed aperitivi. E ha scoperto che le riusciva bene, anzi, meglio che in passato. Quest’anno ha vinto a Monterrey e Acapulco, ha raggiunto i quarti a Indian Wells, poi la semifinale al Roland Garros, battuta solo da Serena Williams. «Non lascio mai il campo senza averle provate tutte», spiega a chi le chiede le ragioni della rinascita come atleta. «Ma anche adesso non sogno di vincere grandi tornei. Per me sono tutti uguali, il primo turno a Marrakech, dove i campi sono orribili, come una quarto di finale a Wimbledon o agli Us Open. L’unica cosa che conta è la gioia di competere. Se sono tornata a giocare è perché amo il tennis. La mia vita in passata non è stata bella, ma ora l’unica cosa che mi spinge a continuare è la possibilità di fare un piccolo regalo a chi viene a vedermi». Timea dice di averlo capito lavorando con uno psicologo, ma è lo stesso concetto che i Beatles hanno saputo spiegare in una piccola, grande canzone: All you need is love, Timea.

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