«Chi l’avrebbe mai detto che un ragazzo maori di ‘Whaka’ avrebbe giocato per l’Italia?». Parola di Kevin Lee, che a Whakarewarewa, Nuova Zelanda, è stato l’allenatore di Kelly Haimona, la grande novità azzurra dei test match che iniziano sabato 8 novembre ad Ascoli Piceno contro i giganti di Samoa. (da La Stampa) Prima di lui in nazionale erano sfilati altri giocatori con percentuali di sangue maori – Scott Palmer, Rima Wakarua, Paul Griffen – ma Kelly, che può giocare sia apertura sia centro, è il primo ad essere 100 per cento isolano («risalendo almeno fino ai nonni»). Maori e polinesiani oggi sono ricercatissimi da tutte le nazionali – solo nel giro di quella inglese, che pure ha un serbatoio di 2 milioni di praticanti, al momento ce ne sono 4 –, che appena possono li naturalizzano per sfruttare le loro straordinarie doti di potenza, aggressività e agilità. «Il rugby a un maori viene naturale – spiega Kelly, 28 anni, fisico compatto, occhio vispissimo da scugnizzo “pacifico” – noi giochiamo con il “flair”… Come si dice in italiano?». Una parola non basta: fluidità, eleganza, vocazione fisica. Più facile capire se si pensa che Kelly, nato a Rotorua, ha cromosomi imbevuti di rugby. «Nella mia famiglia giocano tutti: da mio nonno (pilone), a mio padre (terza linea) ai miei zii, ai cugini. Chi a “Bay of Plenty”, chi nella polizia neozelandese, chi persino in Giappone come mio zio Clayton McMillan che ora allena le giovanili del Wellington. Potevo scegliere un altro sport? In realtà da piccolo a scuola giocavo meglio a cricket: ero un ottimo “fast bowler” (lanciatore, ndr)». Perché cambiare, allora? «Troppo lungo. Un giorno mi sono detto: ma posso stare in campo ogni volta sette ore? E ho piantato lì». Papà Haimona (Tunohopo) fa il carpentiere, mamma (Tania) ristoratrice all’interno di un hotel, Kelly è stato “pizzicato” in Nuova Zelanda da Paolo Orlandi. E’ arrivato da noi nel 2010, poi è tornato a Rotorua per sposare Dana. Sono seguiti tre anni anni a Piacenza, con 24 mete, quindi lo scudetto da protagonista in Eccellenza con il Calvisano nel 2013; quest’anno il passaggio alla franchigia delle Zebre, con la quale ha segnato una meta nello storico primo successo in Challenge Cup a Brive. Brunel lo vede più centro che apertura, «ma a me basta giocare», spiega lui candido. «Da bambino sognavo gli All Blacks, ora debuttare con l’Italia mi dà grande emozione: perché questa è la mia seconda casa. E’ un grande Paese: mi piacciono le persone, le città, la storia. Adoro Venezia e Lucca, ma non vedo l’oro di visitare Roma. E poi la cucina: gli anolini e la focaccia sono i miei piatti preferiti». E’ un maori inopinatamente senza tatuaggi («me ne farò uno quando avrò un figlio, prometto») e che si vergogna un po’ anche delle sue competenze linguistiche: «è imbarazzante: parlo meglio l’italiano del maori». Sulle chance dell’Italia è ottimista: «Siamo forti in touche, in mischia chiusa e anche con i tre-quarti. Giochiamo bene, ci manca solo un po’ di cattiveria. E fortuna con gli arbitri». Samoa, Sud Africa, Argentina: quale è il match più importante? «Lo sono tutti e tre. Io all’inizio ero curioso di incontrare il Sud Africa, ma ora dico Samoa: voglio vedere come eseguono la Sivi Tau, l’equivalente samoano dell’Haka». A proposito: da maori 100 per cento l’Haka la saprà fare? «Sì, sì… o forse no». Sorrisone. Chi l’avrebbe mai detto. Haimona, un maori all’italiana.
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