Ci sono gli avversari che ti sfidano fuori, sul campo, e le voci che ti premono dentro. Se sei un vero numero uno sai affrontare entrambi. Magari con un piccolo aiuto dagli amici, come cantavano i Beatles. (da Il Corriere dello Sport). Abbey Road è dall’altra parte di Londra rispetto a Wimbledon ma Novak Djokovic domenica ha ascoltato comunque la musica giusta. Quella che gli serviva per tenere a bada il Maestro dell’erba e zittire la paura di non essere più quello del 2011, l’imbattibile Uomo di Gomma dei Fab Four del tennis. «Durante un match del genere ti attraversano tante emozioni, tanti dubbi», ha raccontato ieri. «Inizi a lottare con i tuoi demoni, ed la sfida più grossa che ho dovuto affrontare. Ho reso le mie certezze più forti dei miei dubbi, solo così sono riuscito a prendermi la coppa». Per festeggiare il suo ritorno al vertice delle classifiche l’Atp gli ha confezionato una torta con un grande “1” commestibile, dolce ma senza glutine, come impone la sua dieta. Per tornare nutrire le sue (smisurate) ambizioni Nole ha dovuto però passare una carestia di quasi due anni e di tre finali Slam perse: a Parigi contro Nadal, a Wimbledon con il suo amico Murray, a New York di nuovo contro lo spagnolo in un match nel quale a lungo aveva giocato meglio. Ma nel quale i dubbi di essere meno tosto, meno duro di Rafa lo avevano indebolito.
Per scacciare i fantasmi Novak così dopo un 2013 deludente – per i suoi livelli s’intende – ha ingaggiato uno che in campo non si faceva intimorire da nulla. Boris Becker, il tre volte campione dei ‘Championships’ che una volta disse: «il momento in cui godo di più in campo è quando sono sotto 0-40 e devo salvare tutte quelle palle-break con il mio servizio». Non a caso lo chiamavano Bum-bum .Quando il coach storico di Djokovic, Marian Vajda, gli ha detto che doveva stare accanto alla moglie malata, che non aveva più voglia di fare tutto l’anno il vagabondo del Tour, Nole si è fatto dare il cellulare di Becker: «aiutami a vincere di nuovo uno Slam», gli ha chiesto.
«Con Boris parliamo soprattutto di queste cose», spiega il Joker. «Volevo prepararmi psicologicamente per gli attimi cruciali che mi potevano attendere sul campo, e contro Federer ce ne sono stati tanti, tantissimi. Ci siamo spinti entrambi al limite, e ovviamente avere Becker nel mio box è stato d’aiuto. Che consigli mi ha dato? Prima del torneo mi ha detto che sapeva che possiedo il gioco giusto per vincere Wimbledon, e che dovevo convincermene anch’io, senza badare a quello che accade sul campo». Più un motivatore, che un ‘consigliori’ tecnico alla Edberg. Una ‘presenza’ come lo chiamano gli anglosassoni. Uno che tiene a bada le voci. Il punto di svolta è stato a Roma, quando il rapporto con l’ex-campione tedesco non si era ancora saldato e per cementarlo Nole ha chiamato in aiuto proprio Vajda, che in origine non avrebbe dovuto partecipare alla trasferta. «Invece ha accettato di esserci, tutti insieme abbiamo vinto il torneo e ho iniziato a sentirmi più vicino a Boris. A capire meglio il messaggio che stava cercando di trasmettermi».
Murray prima del quinto set della sua vittoriosa finale agli Us open nel 2012 negli spogliatoi si mise davanti a uno specchio e si urlò in faccia: per svegliarsi, per darsi la carica. «Domenica in campo mi sono ripetuto le parole di Boris: dimentica le chance che hai perduto, vai avanti. Non è importante dove sei, ma cosa ti sta succedendo». A volte non è importante cosa ti stanno dicendo, ma chi te la sta dicendo. «Persino Federer, se in un momento di difficoltà guarda in alto e nel suo box vede Stefan Edberg – sostiene Goran Ivanisevic – uno che Roger ammirava tanto da piccolo, questo può aiutarlo a calmarsi e ritrovare la concentrazione». L’aura del campione-mito aiuta anche chi un campione lo è in proprio. «In fondo questi ragazzi non sono robot, non sono macchine, hanno emozioni e paure, sono esseri umani anche loro – sorride Becker – Non puoi semplicemente spingere un bottone e pretendere che siano perfetti». A volte per sbloccarli serve uno sguardo dritto negli occhi, una parola che suona bene. Un piccolo aiuto da un amico molto speciale.
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