Così come è adesso, la F.1 non piace a nessuno. Non ai costruttori, che vorrebbero fare investimenti a colpo sicuro per garantirsi un ritorno di immagine e di vendita sicuri. Non ai team indipendenti – vedi la telenovela Caterham –, che ad ogni gara rischiano di dover portare i libri in tribunale invece che le macchine nei garage (da italiaracing). Non ai piloti, alle prese con diavolerie tecniche (Mgu-K, Kers, Ers e via siglando) che rendono la guida più simile ad un esame di ingegneria che ad una gara. E neppure agli spettatori, che la stanno abbandonando, incapaci di comprenderne le logiche e le dinamiche, costretti a seguire gare magari più ricche di sorpassi rispetto a quelle di qualche stagione fa, ma anche ingarbugliatissime, decise da accrocchi tecnologici posticci e innaturali anche per un mondo così sofisticato. E nelle quali il ruolo dei piloti è sempre più marginale (tranne che quando si tratta di portare valigie piene di dollaroni ai team in crisi di liquidità…).
E’ dall’inizio della stagione 2014 che le tv, che spendono milioni fitti per assicurarsi i diritti di uno show sempre meno comprensibile e convincente, piangono miseria. Il Gp di Monaco, in teoria uno degli appuntamenti clou della stagione, come ha ricordato ieri il Corriere della Sera è stato una Caporetto degli ascolti. Rispetto al 2013 Canal + in Francia ha perso il 30,6 % degli spettatori, Sky Italia il 54,7, La Rai il 32,2, Antena 3 (Spagna, a pagamento) il 26,3, Tv3 (Spagna, pubblica) il 25,8. Persino in Germania, una nazione che che dovrebbe beneficiare dell’effetto Mercedes-Rosberg-Hamilton, l’emorragia fra canali satellitari e in chiaro si aggira attorno al 40 %. L’ultimo grido di allarme lo ha lanciato Luca di Montezemolo: con una lettera molto formale indirizzata a Bernie Ecclestone e a Donald McKenzie (boss del fondo di investimento CVC che possiede la maggioranza delle azioni della F.1), il Presidente della Ferrari ha chiesto che venga un organizzato un “brainstorming”, cioé una riunione per partorire idee che salvino il Circus dalla “svolta sbagliata” che ha preso negli ultimi anni. I convocati sono tanti: i team, i piloti ma anche aziende come Google e Apple e i responsabili dei social network. Lo scopo è quello di rilanciare un «prodotto», la F.1, che è sempre vissuto sull’evoluzione tecnologica ad alto livello, e deve continuare a farlo ma a costi «accettabili», ma soprattutto non dimenticarsi che è lo «show», alla fine, che fa girare il suo mondo. Non le idee più o meno geniali o strampalate degli ingegneri e di cura i regolamenti. Facile commentare che con una Rossa vincente, e non costretta ad inseguire in affanno come negli ultini 5-7 anni, a Maranello forse non si sarebbe sentita tanta urgenza. Il problema è comunque reale, e va oltre gli interessi particolari. Se la Ferrari ha dovuto smentire le ricorrenti voci di un suo abbandono della F.1, vuol dire che la temperatura della crisi è altissima.
Per ora il famoso “strategy group” che ha sostituito la Fota non è riuscità a cavare un ragno dal buco, difficile immaginare che riesca a estrarre il coniglio da un cilindro (bucato). Per contenere i costi si è pensato di ridurre le dee prove libere del venerdì a una sessione unica, ma l’obiettivo deve essere di aumentare lo spettacolo, non di diminuirlo. E anche l’inventario di trovate escogitato per mettere una toppa a soluzioni sbagliate – vedi il rumore “artificiale” per integrare quello scarso delle nuove power unit, o l’idea di abbassare le carrozzerie per provocare scintille sull’asfalto – più che far riflettere fa ridere. La proposta di ri-abolire i test durante la stagione, poi, ha fatto già imbizzarire la Pirelli, e non solo lei. Per decenni a decidere tutto, e spesso bene, è stato Bernie Ecclestone, ma ora a 83 anni e con il peso di una causa difficile sulle spalle anche per il Supremo è venuto il tempo di mollare. Che dopo di lui arrivi Chris Horner, Stefano Domenicali o un governo più “democratico”, in fondo non è fondamentale. L’importante è capire cosa la F.1 vuole fare di se stessa. Se il futuro immaginato è quello di una competizione di altissimo livello tecnologico e altissimi costi, allora tanto vale aprire alle terze macchine e limitarsi a includere grandi costruttori e team satelliti. Se invece si vuole continuare a permettere a team indipendenti di gareggiare senza svenarsi, urge introdurre un drastico budget cap. E comunque la F.1 deve tornare ad essere non tanto “semplice”, perché non lo sarà mai, ma quantomeno comprensibile per il suo azionista di riferimento: il pubblico.
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