Dopo Nadal c’è solo Nadal. Alla fine di un deserto rosso lungo dieci anni l’unico capace di farlo smarrire al Roland Garros resta Robin Soderling, in una giornata di pioggia e scirocco del 2009, ma per gli avversari che contano quella è un’oasi ormai lontana, un miraggio perso nella storia. Nove vittorie in dieci partecipazioni, la quinta consecutiva, un record dentro il record. Federer, che pure cinque anni fa approfittò dell’infortunio del rivale per mettere la sua unica bandierina al Bois de Boulogne, ci ha perso 4 volte in finale. Djokovic, il suo rivale no-limits di maratone maso-tennistiche, ieri si è dovuto inchinare per la seconda volta (la terza di fila se contiamo anche l’omerica semifinale del 2012). «Scusami Nole, le partite con te sono la sfida più dura della mia carriera», ha detto il Nino, un filo coccodrillesco, dopo l’inchino al centrale, la scalata alle tribune, l’omaggio all’antenato Borg, le lacrimone sparse contro la bandiera spagnola sparata sul cielo di Parigi. «Tu meriti di vincere questo torneo, e sono sicuro che prima o poi ci riuscirai». Magari poi. Quando Rafa, che con la vittoria in quattro set (3-6 7-5 6-2 6-4 in 3 ore e 31′) ha messo in banca il n.1 del ranking fin dopo Wimbledon, si sarà ritirato a vita privata (considerato che Soderling, sfibrato da una mononucleosi, è virtualmente pensionato).
E dire che Nole stavolta ci sperava. Arrivava da 4 vittorie di fila contro il Cannibale, l’ultima a Roma, proprio sulla terra. Si sentiva pronto. Il guaio, per lui, è che negli Slam si gioca al meglio dei 5 set e sulla distanza lunga del tennis, sulla terra, Nadal ha un record che fa collassare: 90 partite vinte, 1 persa (sempre quella con Soderling). Nel match Djokovic era entrato benissimo, break chirurgico all’8° game e primo set incamerato; poi ha iniziato a pagare la stanchezza accumulata nel torneo, specie contro Gulbis, i 29 gradi e l’umidità di Parigi, e quella camera a gas mobile di nome Nadal. Il 2° set lo ha perso con due break, recuperandone solo uno e consegnando il set con una volée di rovescio quasi amatoriale (Becker, Becker non gli ha insegnato proprio nulla?). Nel terzo è finito groggy, tanto da faticare a a centrare la sedia ad un cambio campo dopo un game durato 22 scambi. Rafa recuperava il drittone lungolinea, lui si è perso il rovescio, la specialità della casa. Nel quarto set, quando anche Nadal ha iniziato a rifiatare come è capitato spesso nei loro 42 match, la rivalità più lunga e crudele dell’era Open (23-19 per lo spagnolo), Novak ha avuto un’ultima reazione d’orgoglio recuperando un break fino al 4-4 con tutto il centrale che lo invocava, ma si è zincato da solo con un doppio fallo sul primo match point. «All’inizio il campo era umido – ha spiegato Mats Wilander, alla fine molto secco per via del sole. E Djokovic non riusciva più ad aggredire la palla di Nadal perché rimbalzava troppo alta. Rafa invece è uno che riesce a fare tanti piccoli aggiustamenti, è uno che non gioca mai la stessa partita contro lo stesso avversario. Una volta che ha visto che Djokovic era “cotto”, si è preoccupato soprattutto di non risvegliarlo». C’è sempre un nuovo Nadal dentro Nadal. Djokovic, invece, da qualche tempo sembra essere meno grande nelle grandi occasioni. «Posso solo dire che ci proverò ancora – ha esalato il Joker, deluso ma supersportivo – fino a quando riuscirò a vincere anche qui a Parigi». Ovvero nell’unico “major” che gli manca. Rafa, che dopo la vittoria pareva quasi svuotato, ha invece così raggiunto Sampras a quota 14 Slam, appena a 3 da Federer. «Può vincere almeno altre due volte a Parigi», giura Wilander». Lotta con la storia, ormai. E contro se stesso: l’unico avversario che gli fa davvero paura.
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