Tutti si ricordano di lei per quello. Meglio: si ricordavano. «La riduzione del seno? No, scusate, non ne parlo più. E’ una questione privata». (da Il Corriere dello Sport) Ma ora che si è avverato il suo sogno di giocare una finale Slam, l’obiettivo che si è sempre posta Simona Halep, romena di Costanza, anni 22, arrivata a fari spenti al vertice delle classifiche e altrettanto silenziosamente al big match di sabato contro Maria Sharapova, ora forse si avvererà anche la profezia di Wim Fissette, il suo coach belga. «Vedrete che il giorno in cui Simona vincerà uno Slam la gente smetterà di spettegolare sulla sua misura di reggiseno. E si occuperà di lei per il motivo giusto: il tennis». Un tennis che ricorda per grinta e intelligenza tattica quello di Sara Errani, di cui Simona è appena più alta (1,68 contro 1,64). Una miscela di judo e calcio applicata alla pallina gialla: grande capacità di sfruttare la potenza delle avversarie – come è capitato con Andrea Petkovic ieri in semifinale – piazzando i piedi sulla riga di fondo e fiondando angoli micidiali. E gambe velocissime, ereditate da papa Stere, calciatore da squadre modeste come lo Sageata Stejaru. Proprio come Kim Cjisters, di cui Fissette è stato tecnico in passato, e il papà calciatore Leo. «Da piccola riuscivo bene in qualsiasi cosa con la palla, ho fatto anche pallamano. E prima del match per riscaldarmi gioco sempre un po’ a calcio con il mio fisioterapista», racconta oggi Simona, che si definisce «romena al 100 %» e per caricarsi a Parigi ha iniziato a leggere Harry Potter (in inglese). All’operazione per cui è passata alla storia (del web soprattutto) si è sottoposta nel 2009, fra i 17 e i 18 anni. Aveva già trionfato a livello giovanile al Bonfiglio e al Roland Garros u.18, il manager italiano Cino Marchese l’aveva segnalata alla sua amica e collega dell’IMG Virginia Ruzici («guarda che una campionessa ce l’hai in casa…»), romena anche lei e che da tennista a Parigi ha giocato due finali, vincendo nel ’78 contro la Jausovec e perdendo due anni dopo con Chris Evert. Ma c’era qualcosa che bloccava la Halep: un seno floridissimo che la ostacolava nei gesti. «L’operazione l’avrei fatta anche se non fossi stata un’atleta», spiegò Simona proprio a Parigi quattro anni fa, «perché dava fastidio anche nella vita normale». Nel 2010 anche la specialista dei 400 ostacoli Jana Pittman-Rawlinson seguì la stessa strada rimuovendo le protesi che si era fatta inserire anni prima, e in fondo l’esempio delle Amazzoni, le vergini guerriere che per tirare meglio d’arco sacrificavano la mammella destra, è antichissimo. Simona ha impiegato altre tre stagioni per trovare l’equilibrio giusto, poi è esplosa. L’anno scorso è passata dal n.47 al n.11 nel ranking, vincendo 6 tornei ed esplodendo proprio a Roma, dove da qualificata raggiunse le semifinali. Quest’anno sono arrivati i quarti agli Australian Open, l’ingresso fra le top-10 in gennaio, il n.4 raggiunto in maggio, il 3 di cui è già sicura (migliore romena di sempre davanti alla n.7 Spirlea). Contro la Sharapova, che liberandosi del suo ‘clone’ ventenne Bouchard ha infilato la 19ma vittoria di fila al 3° set sulla terra rossa, ha perso 3 volte su 3, l’ultima a Madrid un mese fa. «Da quando ho battuto la Radwanska nel 2013 a Roma il mio tennis è diventato più aggressiva. Non mi aspettavo neanche io di salire così in fretta in classifica, ma con la Sharapova non mi sento battuta: se sarò abbastanza veloce, posso farcela». Ad alzare la coppa che ha sempre sognato.
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