Pablo Lozano da dieci anni è l’uomo che sussurra (e grida, qualche volta) consigli a Sara Errani. Che progetta insieme a lei le partite, che accoglie gioie e sfoghi, che ne conosce tutti i segreti. Che condivide con lei la lunga, spesso noiosa routine dei giorni di allenamento, e la tensione cattiva di quelli in cui bisogna giocarsi tutto in campo (da Il Corriere dello Sport). Il mestiere del coach, come quello delle armi, è fatto di tante abilità e bisogna essere pronti ad accogliere fortune e rovesci con la stessa serenità. «Il segreto sta nell’armonia», dice Lozano, 32 anni, seduto ad un tavolino del Roland Garros appena dopo che Sara e Roberta Vinci si sono conquistate la semifinale di doppio liquidando in due set la coppia australiana Barty-Dellacqua. «Restare tanti anni con lo stesso giocatore a lungo non è facile, e qualche periodo di crisi è inevitabile. Non c’è un tipo di coach “giusto”, l’importante è che il giocatore si senta sempre a suo agio con la gente che gli sta intorno». Questione di feeling. Oggi alle 14 sul centrale Sara Affronta Andrea Petkovic, anche qui in palio c’è una semifinale, dopo i dolori alla gamba sinistra che hanno rischiato di bloccarla contro la Jankovic la prima cosa da capire è in che condizioni Sara scenderà in campo.
«Sara sta bene, con la Jankovic si è trattato di crampi. Aveva una piccola contrattura, che ha sistemato con la terapia. In doppio non ha sentito dolore quindi è tutto a posto».
Contro la Petkovic, che gioca piatto, quale sarà la chiave?
«Farla muovere, tenerla lontana dalla riga di fondo. Bisognerà vedere anche le condizioni del campo e delle palle, la Petkovic è una giocatrice dura. Lei conosce Sara, Sara conosce lei. Sarà una partita lunga».
E’ più difficile gestire la pressione all’inizio del torneo, quando si rischia il tonfo, oppure ora che una nuova grande impresa sembra a portata?
«Nei primi giorni, sicuramente. Ora la possibilità di uscire c’è, ma si tratta più che altro di gestire l’accumulo di fatica, in attesa del calo che arriverà a fine torneo».
Ci racconta la differenza fra gli ultimi tre anni di Sara e Pablo al Roland Garros. Partiamo dal 2012, la finale…
«E’ stato l’anno in cui è andato tutto bene. Sara ha battuto giocatrici fortissime, una dopo l’altra: Ivanovic, Kuznetsova, Kerber, Stosur. Bellissimo».
Il 2013, la semifinale…
«Difficilissimo. Arrivo a dire che piuttosto che rivivere un torneo con tanta tensione, io e Sara preferiremmo uscire al primo turno. Sul serio. Sara alla fine è stata bravissima a superare le difficltà, ma si è letteralmente consumata. In compenso ha capito che si può vincere anche sapendo che le cose possono andare male. La tensione c’è, e va accettata. Da lì in poi le cose sono migliorate».
Eccoci al 2014, i quarti. Come minimo…
«Per ora molto tranquillo. Rispetto ai quarti raggiunti in Australia abbiamo un po’ “asciugato” lo staff. Quello di Melbourne è stato un risultato storico, era giusto condividerlo, premiare qualcuno. Qui siamo solo io, lei, la sua famiglia e David Andres, il preparatore fisico. Poi ci sono il fisoterapista della federazione Francesco Paperini e il dottor Francesco Parra. Alla fine avere troppe persone attorno aumenta lo stress».
Sara si è lamentata che la stampa non capisce tutto il lavoro che c’è dietro una partita. Ci racconta la sua giornata prima dei quarti di finale?
«Sveglia alle 9, colazione alle 9,15. Alle 10 è prenotata la trasportation: per i campi oppure per l’albergo del dottor Parra per l’eventuale terapia. Una volta arrivata al Roland Garros c’è il riscaldamento, circa 30 minuti. Poi il pranzo, quindi le 2 ore – o magari 3 se piove – di attesa per il match. Dopo la partita io e lei analizziamo come è andata, lei fa i suoi commenti, diciamo 15 minuti. Poi tocca allo stretching, e a volte dieci minuti di cyclette, doccia e conferenza stampa. Quindi si ritorna in albergo, con il trasferimento in un hotel diverso dal nostro per il massaggio; nuova terapia, e da lì direttamente al ristorante. In camera Sara non torna prima delle 10 e 30. E questo senza parlare degli impegni extra…».
Ad esempio?
«Obblighi nei confronti dello sponsor, oppure la cena di stasera (ieri, ndr) per ritirare insieme a Roberta il premio Itf per il n.1 in doppio dello scorso anno. Dove Sara purtroppo non andrà. E quando non si gioca cambia poco, anzi a volte bisogna pensare a prenotare i biglietti, a organizzare le trasferte».
Vacanze, mai?
«Dopo il torneo Sara si prenderà quattro o cinque giorni. E subito dopo si riparte, destinazione Eastbourne».
Sara ha ventisette anni: in programma ci sono cambiamenti tecnici per tentare nuove sfide?
«Perché? L’Atletico Madrid ha forse bisogno di cambiare qualcosa? Andremo avanti facendo sempre le stesse cose. Sapendo benissimo che vincere è difficile, che Sara non è altissima, che nel suo bagaglio non ci sono colpi strepitosi».
Il servizio però quest’anno è stato ritoccato.
«Del servizio preferisco non parlare. Perché più ne parlo e più Sara si sente sotto osservazione, e peggio lo gioca. Comunque il servizio è un problema che vedete voi dall’esterno. Sara non ha mai perso una partita per colpa del servizio, il 95% delle sue sconfitte nascono a fondo campo».
Mai pensato di ricorrere ad uno psicologo per controllare lo stress?
«David Andres nel suo curriculum ha anche studi di psicologia, ma non è questo il punto. In campo Sara mentalmente è fra le più forti al mondo, può dare lezioni a chiunque. Io capisco chi ricorre ad uno psicologo: qui Serena e Na Li hanno perso per una questione mentale, non tecnica, e loro hanno i soldi per avere uno staff enorme. Ma lo psicologo, anche il migliore, non può evitarti lo stress, che Sara avverte soprattutto fuori dal campo perché non ama essere sempre al centro dell’attenzione. Come un coach, anche il più bravo del mondo, non può cancellare le sconfitte».
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