E’ l’uomo che tutti dimenticano, il pilota che non era un campione. Roland Ratzenberger, nato il 4 di luglio del 1960, morto il 30 di aprile di venti anni fa, il giorno dopo l’incidente di Barrichello, quello prima della tragedia di Senna, nel weekend più nero della F.1.
Ratzengerger era nato a Salisburgo, le corse le aveva avvicinate da ventenne, prima in Formula Ford, poi in Formula 3, e in quegli anni era diventato anche una piccola star della tv austriaca – con il soprannome di “Roland Rat” fece qualche fortunata apparizione in trasmissioni per ragazzini. Poi c’erano state la Formula 3 in Inghilterra, il WTCC e il BTCC, il successo al Formula Ford festival a Brands Hatch, un quinto posto a Le Mans con una Toyota della Sard Racing. Alla soglia dei 30 anni sembrava destinato a finire la carriera più che onorevolmente nelle gare sport o turismo, ma alla F.1 non aveva rinunciato, anzi, tanto che ai team che lo contattavano raccontava di avere sempre un paio d’anni di meno; nel ’93 aveva corso con i prototipi in Giappone, ai giornalisti amici chiedeva sempre di parlare dei suoi successi anche in Europa. Poi venne la chiamata della Simtek. Non una gran macchina, tutt’altro, e infatti nella prima gara della stagione Roland non si qualificò neppure. Nella seconda, ad Aida, partì ultimo, dietro il compagno David Brabham, ma finì undicesimo in gara sfruttando la sua conoscenza del tracciato. Imola avrebbe potuto essere l’inizio di qualcosa. Fu la fine di tutto.
Il giorno prima c’era stato il botto di Barrichello, naso fratturato e perdita di conoscenza, in qualifica toccò a lui. Stava cercando il tempo, e così non vuole rientrare ai box neppure quando la sua ala anteriore si danneggiò. In rettilineo l’ala si staccò definitivamente, si incastrò sotto la vettura e Ratzenberger perse il controllo, finendo per schiantarsi a 314,9 km/h (sì, la velocità fu misurata esattamente) alla curva Villeneuve, tragica ironia dei nomi. Lo show andò avanti, con un posto vuoto sulla griglia e un’atmosfera plumbea già calata su Imola.
Senna, Schumacher, Berger e gli altri, sotto shock, decisero di protestare, di cambiare il senso e la natura dell’associazione piloti. Ayrton andò a visitare l’amico in Ospedale, sperando nel miracolo, ma trovò un cadavere. Pianse, Senna, al suo amico Syd Watkins confessò che qualche ingranaggio dell’anima gli si era spostato. Smettere? Non si poteva. E poi a fine stagione, oggi lo sappiamo, sarebbe arrivato il passaggio alla Ferrari. Ma il destino incombeva, più tragico che mai. Senna morì il giorno dopo, ufficialmente all’Ospedale Maggiore di Bologna, proprio come Roland, e fece entrare nell’ombra la morte del collega tanto meno famoso. Avrebbe voluto sventolare la bandiera austriaca alla fine del Gp, invece fu il mondo a piangere su quella brasiliana. David Brabham, il compagno di Roland, si ritirò al 27esimo giro.
Ratzenberg fu il primo a morire in pista dopo nell’86, il penultimo prima di Ayrton, e se oggi le piste sono più sicure, molto più sicure – anche se sicure non lo saranno mai del tutto – lo si deve anche a lui. In quell’anno tremendo rischiarono la pelle in pista anche Wendlinger a Monaco, Lamy in un test a Silverstone, e Andrea Montermini, il sostituto di Ratzenberger alla Simtek, si fratturò un piede a Barcellona. Poi la F.1 uscì dalla bufera, e la sicurezza man mano diventò una priorità, una missione. La Simtek corse con la bandiera austriaca impressa sul cockpit in suo onore per tutta la stagione ed Eddie Irvine, che sostituì Roland a Le Mans quell’anno con la Toyota, finì secondo, con il nome Ratzenberger stampato accanto al suo.
Lentamente in questi venti anni la sua storia si è sbiadita, i più giovani nemmeno sanno chi era, per gli altri Roland è semplicemente “quello che morì prima di Senna”. Del suo carattere aperto, cordiale, simpatico, della sua voglia di correre, driver gentiluomo in un’epoca non ancora consumata dal business, è rimasto poco. Forse perché, come ha scritto qualcuno, Ratzenberger era più una persona che un pilota, di lui oggi non si ricordano in molti. Ed è per questo che bisogna continuare a scriverne.
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