Nel Parlamento dello sport italiano le ragazze del tennis non hanno mai avuto bisogno di chiedere quote rosa. Se le sono prese. (da La Stampa) Quattro Fed Cup, una vittoria e altre due finali al Roland Garros, Slam e primati in classifica in doppio, un piovigginare di titoli che dall’inizio del Millennio non ha mai smesso di bagnare il circuito. Una valanga rosa, un circolo virtuoso che Flavia Pennetta aveva inaugurato piazzando il primo, vero mattoncino nell’estate del 2009, quando diventò la prima tennista italiana a guadagnarsi un ticket per la top-ten, e che sempre Flavia, cinque anni dopo, ha chiuso (momentaneamente) muovendo un altro passo in terra sconosciuta. Nessun tennista italiano era mai arrivato in finale a Indian Wells, il torneo dei ricconi californiani, oasi allestita nel deserto da Larry Ellison, il patron di Oracle e uno degli uomini più ricchi del mondo che pur di fare del suo giocattolino una sorta di quinto Slam ha buttato sul piatto 70 milioni di dollari. Flavia in finale è arrivata e se le è anche presa, ieri, mettendo in ginocchio il tennis tutto genuflessioni e incanti di Aga Radwanska, la n.3 del mondo, in due set un filo crudeli, 6-2 6-1. E’ il torneo più importante della sua carriera, un “premier Mandatory” con un albo d’oro a 90 carati, il decimo della sua carriera (solo Sandra cecchini ne ha vinti di più) il secondo alloro più prestigioso del nostro tennis dopo il Roland Garros conquistato dalla Schiavone. L’ha festeggiato beccandosi un gavettone di Fabio Fognini – secondo i malati di gossip il suo nuovo fidanzato – e scrivendo sulla telecamera quella sigletta, tre “M” e un cuoricino, che è diventata il marchio della sua nuova avventura. Pare fra l’altro che fra Flavia e Fabio, anche lui n.14 del mondo, ci sia in piedi una scommessa, una gara a chi arriva più in alto in classifica: primo controllo a Wimbledon, poi a fine stagione. A forza di rincorrere le ragazze, anche i nostri ragazzi hanno trovato il sentiero giusto.
La polacca era sofferente alla rotulina sinistra, e infatti si è spremuta lacrime di rabbia durante la premiazione, ma il malanno nulla toglie ai dieci giorni da urlo della Penna, che nel corso del torneo ha spazzato via Sam Stosur, ex top-10 e vincitrice di Slam, la sua nipotina Camila Giorgi – che aveva estromesso Maria Sharapova – e in semifinale la n.2 del ranking, Na Li. «Mi dispiace per Agnieszka, ma oggi era il mio giorno», ha detto alla fine Flavia, raggiante beniamina del pubblico americano che ama la sua tenacia, il suo allure da piccola Loren, la sua disciplina. E non è un caso che la pugliese, dalla vittoria a Los Angeles alle semifinali degli ultimi Us Open, negli States abbia giocato sembre benissimo. Da oggi Flavia ritorna a due passi dalla top-10, n.12, scavalcando la sua antica compagna di doppio Roberta Vinci (13) e arrivando a solleticare Sara Errani, oggi n. 10 (solo l’Italia ha tre giocatrici fra le prime 15 del mondo). L’entrata nel recinto delle grandi a 27 anni era sembrato il traguardo, a 32 rischia di diventare una tappa, visto che da qui a Wimbledon Flavia ha solo briciole da difendere. Persino il n.5 non sembra un approdo troppo temerario.
E’ una storia di alpinismo mentale applicato al tennis, una vicenda di chiodi piantati e di corde scivolate via. Mentre la Schiavone, la Errani e la Vinci la scavalcavano, Flavia, bloccata da infortuni seriali, da un polso rammendato che nel 2012 sembrava averle scucito la carriera, ha ricominciato dal campo base. Da Barcellona, insieme con il fisioterapista Max Tosello e con il nuovo coach spagnolo Salvador Navarro, che ha sostituito il fuggitivo Gabriel Urpi e l’ha convinta a spingere di più, a rafforzare le sue trigonometrie una volta forse troppo morbide, a investire sul servizio, a potenziarsi muscolarmente. Nel maggio del 2013 Flavia era scivolata al numero 158 del ranking, a un passo dal ritiro, da una nuova vita («forse di mamma», disse a Wimbledon). Oggi è pronta a sfidare le più forti. «E’ la vittoria della determinazione», ha detto il Presidente del Coni Malagò, che con Flavia ha scambiato molti messaggi in queste notti. Una vittoria senza se, senza ma, senza quote. Da donne che sanno come prendersi il mondo.
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