Poi un giorno succede che Poulidor batte Merckx, Massa sorpassa Schumacher, l’Udinese vince lo scudetto ed è il giorno della marmotta che finisce, l’incubo degli eterni secondi che si rovescia in favola felice (da La Stampa). Ma il sogno stavolta non c’entra nulla, è tutta realtà, carne, sport, e la più grossa sorpresa degli ultimi trent’anni di tennis dopo quella di Chang a Parigi nell’89 ha i connotati di Stanislas Wawrinka, detto Stanimal, nato a Losanna e cresciuto per 28 anni all’ombra di una foresta infinita che sia chiama Roger Federer. Agli Australian Open ‘Stan’ è stato davvero ‘The Man”, l’uomo che dopo la finale ha alzato la coppa che gli porgeva il divo Sampras davanti agli occhi colmi d’impotenza di Rafael Nadal, il favorito assoluto che in 12 precedenti contro Wawrinka non aveva mai perso neppure un set, ma che ieri è stato frenato all’inizio del secondo set da un colpetto della strega. Come il barone von Cramm, che nel 1936 a Wimbledon non volle rovinare la festa a Fred Perry e rimase in campo zoppo per tre set, l’hidalgo Rafa non si è ritirato. Ha strappato il terzo set al panico temporaneo di Iron Stan, poi ha inevitabilmente perso al quarto, il servizio ridotto ad un sospiro e la coscienza da eroe tragico che virava in lacrime. Tutto per non rovinare la festa all’ex-amico fragile che in un solo torneo ha ribaltato un destino da perdente e stropicciato il tennis.
Wawrinka, l’unico insieme con Del Potro capace negli ultimi nove anni di rompere il dominio Slam di Nadal, Federer e Murray, questa gioia se la meritava. Nel torneo ha approfittato di due ritiri (Golubev e Pospisil) ma nei quarti ha sradicato da fuoriclasse Djokovic, che a Melbourne bulleggiava da tre anni. In semifinale ha sverniciato l’altro top-10 Berdych e nel primo set del big-match ha comunque messo alle corde il Cannibale, dimostrando di aver finalmente imparato a memoria il manuale del perfetto anti-Nadal che da sempre si portava in tasca: rovescio-folgore da opporre al gancio mancino, servizio penetrante, voglia di tirare ogni colpo. Ci si può accapigliare all’infinito su come sarebbe finita con il Nino in salute, il fatto è che da oggi Wawrinka, entrato nel torneo da numero 8 Atp, è il nuovo terzo uomo del tennis, piazzato appena alle spalle di Nadal e Djokovic e cinque posti davanti a Federer, che per la prima volta dal 2001 non è più il n.1 svizzero. Un sorpasso, non un dispetto. «Dopo il match ho parlato con mia moglie, mia figlia, mia sorella – ha raccontato Wawrinka – e con Roger, che mi ha sempre voluto bene. Mi dispiace per Nadal, un campione di cui il tennis ha bisogno, per quello non ho esultato troppo alla fine. La verità è che non mi sarei mai aspettato di vincere uno Slam. Ma lo ho appena fatto». Stupore e delirio a Melbourne, per l’epifania tardiva di un campione tranquillo, timido, appassionato di hockey su ghiaccio (è un dirigente del team di Losanna), nato fra le mucche e i prati del cantone di Vaud, nella fattoria dove papà Wolfgram (tedesco di origini polacche) e mamma Isabelle (svizzera) gestiscono una fattoria che dà lavoro a persone con disordini mentali. Il talento c’è sempre stato, il resto, soprattutto a livello mentale, è arrivato negli anni. Con una accelerazione negli ultimi dodici mesi: prima la sconfitta in cinque set sterminati e sanguinosi con Djokovic in Australia nel 2013, che lo lasciò in lacrime ma convinto di potersela giocare con tutti. Poi l’incontro con Magnus Norman, coach svedese, ex n. 2 Atp, e il lavoro fisico con Pierre Paganini, il mago che da sempre accarezza i muscoli di seta di Federer. «E’ la vittoria di un grande lavoratore del tennis – spiega Claudio Mezzadri, ex-n.26 del mondo e davisman svizzero che oggi collabora con Swiss tennis -, di un ragazzo che ha saputo fare senza fretta i passi giusti, anche per conto suo. La sconfitta con Djokovic avrebbe stroncato tanta gente, lui ha saputo metabolizzarla nel modo giusto». E’ anche il trionfo di un sistema che si nutre di efficienza ed accoglienza, ricetta ideale per coltivare i talenti di casa o quelli stranieri attratti dalla solidità economica del Paese: da Gunthardt a Rosset, da Hlasek (origini ceche) a Mezzadri (italiano), da Federer a Wawrinka, dalla Hingis (slovacca) alla sedicenne Belinda Bencic (ceca come Hlasek) che a 16 anni ha già in tasca un contratto con la Rolex e nelle mani un futuro da regina. «La federazione svizzera ha capito che i talenti vanno assecondati, accuditi, non vessati con regole e ricatti», continua Mezzadri. «I metodi di Paganini sono un tassello importante, e il centro tecnico di Bienne, di altissimo livello, raccoglie i giovani che escono da un sistema di “partner academy” private sparse nel Paese. Ma se la Bencic preferisce allenarsi da sola, nessuno le taglia i fondi, anzi. Perché se sei bravo ad ascoltarli, i campioni, da loro puoi imparare tanto. E poi noi ex siamo coinvolti, così a chi arriva nel circuito offriamo confronto, collaborazione. Non invidia». Per questo si può credere a Federer quando dice di aver tifato per Wawrinka, l’uomo che ha voluto farsi re al suo posto.
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