Belinelli da record nella Nba: «Voglio quel benedetto anello!»

Belinelli tagliata

Marco Belinelli miglior realizzatore da tre punti della Nba: che effetto le fa?

«Non è da tutti, ma non ci penso troppo. Il mio obiettivo è di vincere questo benedetto titolo Nba, lo voglio con tutto me stesso. Il resto è bello, anche per il basket italiano, ma non ci do tanto peso».

Compagni e avversari ora la guardano diversamente?

«Sì, ma non mi fossilizzo sul tiro da tre. Voglio essere un giocatore completo»

San Francisco, Toronto New Orleans, Chicago, ora San Antonio: come hanno inciso le squadre e le città che ha girato?

«Sono state molto importanti le stagioni a New Orleans: i miei primi play off, un minutaggio importante in quintetto, compagni forti come Chris Paul. Molti hanno iniziato a vedermi non solo come un tiratore. Coach Thibodeau mi ha fatto crescere come difensore e mi ha dato più fiducia nei miei mezzi, cosa fondamentale per arrivare in una squadra che ha ambizioni di vittoria come San Antonio. Era quello che volevo».

Dal Chicago a San Antonio cosa è cambiato attorno?

«A Chicago il palasport era sempre pieno, ma la città lì offre molto, ci sono squadre storiche di baseball e football. A San Antonio gli Spurs sono l’attrazione principale, se non l’unica. E’ una bella città, con un clima finalmente caldo dopo il gelo di Chicago, e abbiamo un tifo molto presente».

In che cosa l’ha cambiata l’America

«Sono arrivato qui a 19 anni. Prima ero sempre stato a Bologna, in casa, e i primi due mesi a San Francisco sono stati durissimi. Poi l’America mi ha maturato, mi ha insegnato a fare da tutto da solo, da scegliere casa a lavarmi una maglietta. A scuola andavo bene in inglese e questo mi ha aiutato molto. Anche se l’accento bolognese non andrà mai via…».

Che cosa le piace di più degli Stati Uniti?

«Tantissime cose. Ad esempio i negozi aperti fino a tardi e le colazioni all’americana».

A San Antonio ha trovato Manu Ginobili…

«Con Manu ci siamo trovati subito, e mi sta aiutato molto. Parliamo sempre in italiano di Bologna, dei ristoranti come da Oscar dove vado sempre quando torno a Bologna, perché la cucina italiana, e quella di mamma, mancano sempre.».

Bologna può tornare Basket City?

«Seguo inevitabilmente poco quello che succede, ma so che la Virtus sta facendo bene e sono molto contento per la Fortitudo. Il Paladozza è sempre pieno e questo è un bene perché il basket è importante per Bologna, e Bologna, con tutti i suoi tifosi, è importante per il basket italiano».

Parliamo del campionato italiano in generale e della Nazionale?

«Purtroppo il livello è sempre più scarso ogni anno, non ci sono più squadre di livello europeo. Con la nazionale abbiamo fallito la qualificazione per gli Europei ma siamo usciti a testa alta, dimostrando che c’è un bel gruppo, un bel gioco. Resta il rammarico di non aver finito il lavoro, ma abbiamo dato il 100 per cento».

La nazionale sarà ancora una priorità?

«Alla nazionale io ho sempre tenuto un sacco, e l’ho dimostrato. Però nella Nba l’impegno è talmente intenso che devo pensarci una volta finita la stagione».

E all’ All Star Game ci pensa?

«Mi arrivano tanti messaggi: ci vediamo all’All Star Game. Sarebbe bellissimo, ma ne parliamo più avanti».

San Antonio è una squadra multietnica: gli stranieri cambieranno la Nba?

«Gli europei sulla lunga distanza possono avere un influsso, ma nella Nba c’è una velocità e un modo di pensare molto diverso: sei tu che ti devi adeguare».

Si è fatto catturare dagli altri sport made in Usa?

«Guardo il SuperBowl, so che ci sono mille sport, ma sono di parte: per me come il basket non c’è nulla»

Il tennis però l’affascina…

«Molto. Gioco qualche volta d’estate, il mio copo migliore è il dritto. Con la Nike ho avuto la chance di vedere una finale a Wimbledon, esperienza fantastica. Tifo per Federer ma mi piace molto anche Djokovic».

Sente spesso gli altri italiani nella Nba?

«Bargnani l’ho incontrato a New York: sta bene, è contento di esser lì. Il Gallo lo sento meno perché sta recuperando dall’infortunio. A Gigio voglio dire che non deve mollare. Anche per me all’inizio è stata dura, si mangia molta… schifezza. E’ in una squadra difficile, è il suo primo anno, lo posso capire benissimo, perché quella… schifezza l’ho mangiata anch’io. Tanta. Però mi ha fatto diventare un giocatore più motivato e concreto».

San Giovanni in Persiceto, dove è nato, San Francisco, San Antonio: tanti santi in Paradiso?

«Giuro, è la prima volta che ci penso. San Giovanni è la mia città, non si tocca. Non sarà la città più bella del mondo, ma è la mia preferita».

Questo record e questi successi sono una rivincita?

«E’ una cosa che mi porto dentro tutti i giorni. Molti all’inizio dicevano che non ero adatto alla Nba, che dovevo tornare in Europa. Ho cercato di smentirli in campo, e oggi mi serve da motivazione».

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