Vettel è grande, non (ancora) il più grande

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«Hai vinto, e con classe. Adesso ha raggiunto i migliori: ben fatto Sebastian». Chris Horner gliel’ha urlato nella radio a Greater Noida quando aveva appena tagliato il traguardo e vinto il suo quarto Mondiale di fila, ma è quello che altri, molti avevano iniziato a dire, scrivere, azzardare da settimane (da Italiaracing.net).

Solo Juan Manuel Fangio e Michael Schumacher erano riusciti a vincere in passato quattro titoli mondiali consecutivi in F.1, ovvio che l’impresa di Vettel abbia scatenato paragoni immensi. Anche perché Seb, che ormai da tempo si è scrollato di dosso l’etichetta di baby Schumi, ce l’ha fatta a soli 26 anni d’età.

A quota quattro titoli (ma in questo caso non consecutivi) ha raggiunto anche Alain Prost, un altro pilota che come lui non raccoglieva certo simpatie universali, davanti ha sempre gli stessi: Schumacher a 7, Fangio a 5. Può raggiungerli, considerato che il poker lo ha calato con sei anni d’anticipo rispetto a Michael. E forse nel tempo che il tedesco ha ancora ha davanti si nasconde la risposta al quesito che tutti si fanno, che tutti continueremo a farci ancora per settimane, mesi, anni: Vettel è il più grande pilota nella storia della Formula 1?

Che sia un grande, non c’è dubbio. Non si vincono quattro mondiali se non si è fatti di una stoffa speciale, e Seb ha dimostrato tante volte di essere tagliato nell’eccellenza. Quando si prese con la Toro Rosso il GP di Monza sotto un diluvio. Quando nel 2010 e nel 2012 ha vinto il titolo in rimonta sulla Ferrari. O per limitarsi solo a quest’anno, quando in Bahrain ha passato Rosberg al quarto giro di una gara che avrebbe potuto vincere solo a quel modo, o quando ha sorpassato Hamilton a Spa dopo L’Eau Rouge. Tutte le volte che ha dovuto piazzare una pole decisiva e l’ha fatto, o che ha martellato tempi da eccellenza prima di un pit stop. E anche a Greater Noida, dopo aver cambiato al terzo giro le soft già sfruttate per la pole, infilando una sfilza impressionante di sorpassi.

All’inizio della carriera era un “bambino” di talento ma che si innervosiva troppo quando il gioco si faceva duro, che sorrideva e dispensava battute dopo le pole ma si irritava quando gli toccava di dover rimontare o battagliare. Il Vettel tetra-campeon invece è un pilota maturo, un campione che sa sudarsi le vittorie faticando anche durante le libere, i test, dannandosi nei briefing con gli ingegneri. Si chiama etica del lavoro, e in questo Vettel ricorda da vicino Michael Schumacher. Un fuoriclasse che i sorpassi li sa fare, eccome, e anche quando servono. Che sa domare alla perfezione la sua Red Bull spremendone fuori un rendimento ancora superiore al previsto (ad esempio in uscita di curva).

Poi c’è il rovescio della medaglia, gli argomenti portati da chi quando Ecclestone lo definisce “migliore di Senna” e “pari a Roger Federer o Muhammed Ali”, si sentono ribollire il sangue: Vettel vince perche la sua Red Bull è migliore delle altre monoposto. E qui è tanto difficile tentare di separare con il bisturi i meriti di Vettel da quelli (grandissimi) di Newey & Co., quanto probabilmente inutile. In F.1 non si si vince con una macchina più debole della concorrenza: non ne sarebbe capace Vettel, né Fangio, né Prost, né Schumacher né Senna. I grandi piloti sanno però estrarre il meglio da una vettura, e Vettel questo lo ha fatto spesso, se non sempre. Non sapremo mai se Alonso o Hamilton al suo posto sarebbero riusciti a fare altrettanto. Il sospetto c’è, ma è una delle tante domande a cui lo sport non può dare una risposta. In questo senso paragonarlo a Schuamcher ha un senso, a Fangio, che ha corso in un’epoca lontana e tanto diversa, molto meno.

Altra obiezione: ha corso con un compagno di squadra molto più debole di lui. Vero anche questo, e vero anche che in qualche (ehm, ehm…) caso il team ha avuto un occhio di riguardo per il Prescelto (da Helmut Marko) piuttosto che per Crocodile Calimero. Ma anche questo fa parte del gioco, anche se è lecito – e qui ricadiamo nel caso delle domande che non avranno mai risposta… – chiedersi se Seb avesse vinto tanto se al suo fianco invece di un Webber si fosse trovato, come capitò a Prost, un nuovo Senna. Alzi la mano chi può dirlo.

Terza obiezione: Vettel è antipatico, quindi non può essere il più grande. Obiezione odiosa, e che Sebastian ha confessato di aver accusato in maniera pesante quest’anno. E’ vero, in Malesia, quando sorpassò a tradimento Webber, le critiche le andò a cercare. E il prezzo di quel gesto poco sportivo le ha pagate poi in Canada a Monza, e a Singapore, con i fischi sotto il podio. Ci sono campioni del cuore, come sono stati Senna e Villeneuve (che pure non ha mai vinto nulla), che si incidono nella memoria al di là dei titoli e dei Gp vinti, delle pole segnate, dei punti conquistati.  E probabilmente Vettel non farà mai parte della categoria. Ma non è questo un buon argomento per sporcare i suoi grandi meriti.

C’è anche una quarta obiezione, molto italiana, molto di parte, che recita più o meno così: Vettel per essere davvero grande deve vincere con la Ferrari. Come ha fatto Schumacher, come sta tentando di fare Alonso. Come ha fatto in un altro campo e con altre marche Valentino Rossi nel moto mondiale, passando felicemente dalla onda alla Yamaha (e poi disastrosamente alla Ducati).

E questo ci porta di nuovo alla questione centrale: Vettel è il più grande di sempre?

La risposta è che per dimostrarlo – al di là di ogni dubbio e di ogni possibile obiezione – probabilmente dovrà dimostrare di saper vincere anche al di fuori del suo confortevolissimo nido alla Red Bull. Alla Ferrari o alla McLaren, alla Mercedes o alla Lotus, non importa. Fra l’altro si è ormai guadagnato una reputazione e una rendita di posizione che gli consentiranno di scegliersi comunque la macchina potenzialmente più forte. Chi non vorrebbe avere Vettel in squadra?

Però per dimostare di essere davvero più forte di Schumacher, di Senna o di Prost, dovrà dimostrare di saper fare come loro, e vincere “fuori casa”. Per poter dire: la macchina conta, ma il campione sono io. E a quel punto, vedrete – specie se lo avrà fatto a bordo di una Rossa… – vedrete come diventerà anche più simpatico a tutti, il giovane Sebastian. Per ora Vettel è un grande, un grandissimo. Ma non (ancora) il più grande.

 

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