Stanislas Wawrinka è sempre l’Altro Svizzero, il gregario del Genio, lo scudiero di Federer. Re Ruggero vinceva, anzi stravinceva, e Stas finiva ai lati dell’inquadratura. Come un parente neanche troppo stretto, di cui nessuno si ricorda bene il nome ai matrimoni. Una carriera da mediano di talento, con un tennis scintillante e un rovescio da urlo nascosto dietro un carattere da comprimario, il volto timido segnato dall’acne come un eterno adolescente.
Non crescerà mai, dicevano. Ma stavolta gli Us Open sono anche suoi: ieri ha eliminato, anzi sradicato dal torneo in tre set di impressionante qualità il campione uscente Andy Murray. Si è preso la semifinale e se dovesse vincere il torneo in classifica (la Race, quella che conta solo i risultati della stagione in corso) sorpasserà Federer. Che ieri gli ha mandato un sms di congratulazioni: «ma non posso dirvi cosa c’era scritto, sono cose fra me e lui». Fuori dall’ombra, comunque. Sotto i riflettori. E con nuovi soprannomi: ad esempio, WOWwrinka, come lo ha ribattezzato in un tweet Judy Murray, la madre del suo compagno di allenamenti che ieri, da grande sportiva, gli ha fatto i complimenti appena finito il match nonostante la batosta rimediata dal pargolo.
Inizia, insomma, la nuova vita di Stas, figlio del tedesco Wolfram e della svizzera Isabel che St.Barthelmy, 10 minuti di macchina da Losanna, gestiscono una fattoria biologica dove lavorano operai disabili. Cresciuto a pane e racchette insieme al fratello maggiore Jonathan, maestro di tennis che lo ha avviato al tennis prima di consegnarlo nelle mani di Dimitri Zavialoff, l’uomo che aveva intuito, ripulito, estratto i carati dalla pepita grezza. Tutti sapevano che da buon svizzero Stas aveva qualcosa di più da offrire, un caveau di meraviglie che ogni tanto mandava riflessi preziosi. Molti dubitavano che il tesoro sarebbe mai emerso del tutto.
Lo dicevano i numeri. Ventotto anni, quattro titoli Atp raccolti in location non proprio da prime time – Oeiras, Channai, Casablanca, Umago – un oro olimpico vinto a Pechino in doppio a fianco di Sua Maestà Ruggero I. Negli Slam mai un passo oltre i quarti di finale, raggiunti una volta in Australia e una a Parigi, in Coppa Davis la frustrazione (a volte esperessa apertamente nonostante l’amicizia) di avere a fianco Federer solo una volta all’anno.
Un magnifico perdente: l’etichetta era questa. La rivoluzione lenta del soldato Stas è iniziata con la paternità – Alexia, nata nel febbraio del 2010 -, gli è maturata dentro nelle ultime stagioni; ha accelerato con l’ingaggio come coach di Magnus Norman, ex campione svedese, che all’inizio di quest’anno ha sostituito “papà” Zavialoff. In Australia a gennaio Stas era già arrivato a un passo dal colpaccio, battuto solo 12-10 al quinto set da Novak Djokovic. Sembrava l’ennesima occasione perduta, era l’inizio della svolta. Prima l’ingresso fra i top-10, che in passato Wawrinka aveva solo sfiorato, poi il boom nella Grande Mela. «Il super-eroe con RF stampato sul petto non vola più su New York», ha scritto con un filo di enfasi il New York Times, «ora è tempo di Iron Stan».
Da Clark Kent a Superman, il cambio d’abito agonistico avvenuto in una cabina interiore, figlio di una nuova mentalità. «In campo sono sempre stato insicuro – ha spiegato ieri il neo-divo – quando sono arrivato sul circuito ero già il secondo dietro Roger (di 4 anni più anziano, ndr). Lui si prendeva il palcoscenico, e a me in fondo andava bene. Sapevo di avere il tennis per fare grandi cose, ma era la testa che non funzionava, mi irritavo, mi emozionavo troppo». Coach Norman ha liberato il drago nascosto dietro il nerd. «Mi ha dato più sicurezza, mi ha insegnato a stare calmo, e mi ha spinto a giocare con più aggressività. Il match contro Djokovic in Australia è stato importantissimo. Ora ho molta più fiducia in me stesso, so che posso battere i migliori». Wow, come direbbe mamma Murray. La presenza di Wawrinka e Gasquet in semifinale rivaluta anche l’efficacia del rovescio a una mano, gesto tecnico fascinoso ma apparentemente in disgrazia nell’era dei martelli bimani. «Non è così facile giocarlo – ammette Stas – specie quando ti trovi davanti uno come Nadal. A 11 lo giocavo a due mani anch’io, ma era troppo scarso, così ho cambiato. Ora è un gran colpo: in fondo è solo questione di allenarsi». Anche a pensare in grande.
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