Esistono anche sogni bellissimi che fanno male. Che ti consumano. Per informazioni chiedere a Marion Bartoli, che a solo sei settimane dalla imprevedibile, commovente vittoria a Wimbledon ha deciso di smetterla con il tennis. Addio, è consentito piangere. «Ho giocato l’ultimo match della mia carriera», ha sussurrato a Cincinnati, fra una lacrima e l’altra, dopo la sconfitta contro Simona Halep. «E’ tempo di ritirarmi, il mio corpo non regge più. Ho dato tutto quello che mi era rimasto a Wimbledon, oggi dopo 45 minuti mi faceva male dappertutto. Il mio fisico e il mio spirito non ce la fanno più». Sorprendente, se si pensa che Marion è n. 7 del mondo e il 2 ottobre compirà appena 29 anni. Ma non troppo, se si considera che la francese tira sberle ad una pallina da quando aveva sei anni, trascinata dalla passione e dall’ossessione di papà Walter, un ex medico che per estrarre una campionessa dalle forme non esattamente atletiche della figlia l’ha costretta ad un tirocinio amorosamente feroce. Vita monastica, allenamenti estremi. Elastici fissati alle articolazioni, zeppe incollate sotto le scarpe e via a menar fendenti: alle avversarie e al mondo del tennis in generale che in quel training eccentrico vedeva solo un delirio. Resistere. E credere, sempre. Marion l’ha fatto. Le è costato molta fatica e infinite ironie, ma ci ha guadagnato 11 milioni di dollari in montepremi, una prima finale a Wimbledon nel 2007, persa con Venus Williams, poi quella vinta lo scorso luglio contto Sabine Lisicki. Fortuna, e bravura. Un diamante spuntato in una stagione zeppa di infortuni. A Londra ha giocato battagliando contro il dolore, quando il sogno di una vita si è avverato, nella sua mente di genietto precoce (175 di quoziente intellettivo, roba da Einstein e Stephen Hawking) sono partiti i titoli di coda. C’è chi come Nadal da una vita lotta contro il dolore fisico, chi come Borg crolla sotto la noia o la tensione, schiantato dalla routine dell’eccellenza. A Marion si sono rotte entrambe la paratie. «Per vincere Wimbledon mi sono spinta oltre i miei limiti», ha ammesso. «E poi tutti si ricorderanno di quel trionfo, non della brutta partita di oggi». Vero, tremenda e dolcissima mademoiselle Bartoli: è tempo di vivere. Ma occhio ai rimpianti.
La Bartoli dice addio
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