E’ una nebbia cupa, un clima pesante che soffoca più di Caronte, l’anticiclone che sta arroventando la nostra estate. Ma per scacciare l’afa da doping, la paura che ci stiano rubando lo sport, non basta un ventilatore.
Nel tennis l’aria cattiva è tornata due giorni fa, con la notizia della squalifica di 18 mesi impartita a Viktor Troicki – serbo, 27 anni, numero 53 del mondo con un passato da numero 12 – perché a Monte-Carlo aveva rifiutato un controllo sul sangue. Ma le polveri sottili del sospetto, ancora più pericolose, si sono sollevate nella serata di venerdì quando i media croati hanno iniziato a parlare di una possibile, inquietante “squalifica occulta” di Marin Cilic, il numero 15 del mondo. Un pesce grossetto, dopo i tanti pesci minuscoli puniti negli ultimi anni.
Secondo la soffiata (velenosa) di un medico croato il ragazzo di Medjugorie sarebbe stato beccato ad un controllo durante il torneo di Monaco di Baviera, due settimane dopo Monte-Carlo: positivo a una sostanza proibita non meglio precisata, contenuta in alcune zollette di glucosio comprate dalla madre e che Marin avrebbe buttato giù senza controllare l’etichetta. A Wimbledon, sempre secondo la ricostruzione dei media croati, la Federazione Internazionale gli avrebbe comunicato gli esiti senza però renderli pubblici, imponendogli in cambio di non giocare per tre mesi. E Cilic per nascondere il fattaccio si sarebbe ritirato dai Championships simulando un infortunio al ginocchio. Trattasi del famigerato “silent ban”, la sospensione silenziosa di cui si parla (spesso si favoleggia) da tempo e che secondo i colpevolisti sarebbe stata utlizzata in passato per tutelare alcuni dopati eccellenti e non compromettere l’immagine del tennis.
A evocarla in maniera concreta è stato soprattutto Andre Agassi nella sua stravenduta biografia “Open”: positivo alla metamfetamina, nel 1997 l’ex n.1 sarebbe stato graziato allora dall’Atp (che ha sempre negato) schivando i tre mesi di quarantena.
Il caso Cilic per ora non è neppure un caso, attenzione, ma una semplice indiscrizione giornalistica, e tutto potrebbe risolversi in una bolla di maldicenze. Oppure, tra due settimane l’Itf potrebbe rendere nota una squalifica (nel suo caso tre mesi e la perdita di tutti i prize-money guadagnati da aprile) come ha fatto per Troicki, e la presunta comunella fra controllori e controllati svanirebbe nel caldo agostano.
Per ora non sono giunte né conferme né smentite, e l’afa cresce. L’hanno resa più spessa i veleni collegati all’Operation Puerto, con relativi sospetti di insabbiamento, e le tante (avventate) illazioni nei confronti di campioni fino a prova contraria pulitissimi come Serena Williams o Rafael Nadal avanzate ad esempio due anni fa da Yannick Noah, a gennaio da Cristophe Rochus, e due giorni fa persino dal giovane Gianluigi Quinzi. Se una qualche forma di copertura dovesse essere confermata la mazzata sarebbe pesantissima, paragonabile alle connivenze nell’affaire Armstrong nel ciclismo. Auguriamoci che arrivi presto una ventata fresca a ripulire quest’estate malsana. Perché a respirare sempre aria di doping, vero o presunto, alla lunga ci si intossica. Tutti.
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