«Se lo vincerò anche da grande, Wimbledon? Diciamo che se continuo a fare le cose giuste penso di poter vincere uno Slam. Ma non so quale». Gianluigi Quinzi ieri ha battuto in finale il sudcoreano Hyeon Chung (7-5 7-6) ed è diventato così il secondo azzurro a vincere il torneo juniores ai Championships dopo Niego Nargiso (1987). Un vittoria che fa un (un po’) storia. Il difficile è capire quanto fa futuro. Dal 1947, l’anno in cui qui nacque il torneo u.18, solo quattro giocatori sono riusciti a fare il bis da adulti: Bjorn Borg, Pat Cash, Stefan Edberg e Roger Federer. E sempre quattro, con Ivan Lendl al posto di Cash, sono i vincitori fra i piccini che sono riusciti ad arrivare al numero uno fra i pro. Negli ultimi trent’anni oltre a Federer ed Edberg i campioncini di Wimbledon che sono entrati fra i top-10 sono appena 3 (Enqvist, Melzer e Monfils), poco più di una ventina quelli che hanno messo il naso fra i primi 200. Nargiso al massimo fu n.67 e oggi raccomanda: «Quinzi non deve fare come me, deve fare con calma e fidarsi solo del suo staff». La coppetta argentata insomma non è una garanzia di eccellenza, al massimo un buon viatico. «Vincere qui – spiega Mosè Navarra, l’ex-davisman che segue gli u.18 della Fit – significa essere fra i 3-4 più forti della tua età. Oggi i migliori juniores hanno già mentalità e staff da professionisti. Gianluigi ha una grande qualità in prospettiva: è un fuoriclasse dentro, non molla mai. Se dovessi andare in guerra mi porterei dietro lui. Deve migliorare dritto e servizio, ma può diventare forte su tutte le superfici. Quanto? Numero 50, numero 10? Un grande giocatore. Però non mettiamogli troppa pressione». Il mantra che ripetono sia Quinzi sia il suo allenatore Eduardo Medica, è “fare le cose giuste”. Perché oggi il tennis dei pro è fisicamente durissimo, dominato da atleti maturi. «Non è una questione di tennis», analizza Gianluigi, 17 anni, già n. 405 Atp, nato a Cittadella ma cresciuto a Porto San Gorgio, che alle fragole con panna preferisce gli strozzapeti ai frutti di mare. «Oggi tutti giocano bene a tennis, da quel punto di vista sono al livello di un n.50 del mondo. Ma i più forti hanno qualcosa in più, per questo arrivano così in pochi. Ora non devo strafare, dopo i giovanili giocherò i tornei Challenger, quando sarò pronto gli Atp e lo Slam. Intanto ho vinto questo torneo “allucinante”, alla fine non capivo neppure dove ero. Stanotte non ho dormito, sentivo la pressione, ce l’ho fatta perché ho giocato meglio i punti importanti. I miei idoli? Dico Agassi, ma da piccolo il tennis mi annoiava, anche ora in tv preferisco lo sci, più adrenalinico: Tomba, Maier, la Vonn. I paragoni con Tomba e Valentino Rossi non mi spaventano, ma in campo devo imparare a parlare meno: già ci si stanca abbastanza a giocare». E a vincere.
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