Bartoli, la Cenerentola dei Championships

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E’ una fiaba agrodolce, una storia alla Cenerentola dove al posto della matrigna cattiva c’è un papà, magari un po’ossessivo e svitato, ma buono. La Cenerentola un filo sovrappeso è Marion Bartoli, la francese che a Londra ha vinto il suo primo Slam camminando sui nervi di Sabine Lisicki (6-1 6-4 in un’ora e 20 minuti), in fondo ad un Wimbledon bizzarro, dove in finale erano arrivate la n. 15 del mondo, Marion, e la n. 24, Sabine, e dove la vincitrice, caso unico nell’Era Open a Championships, non ha dovuto battere nemmeno una delle prime 10 teste di serie. Il papà si chiama Walter, faceva il medico, e senza di lui la favola tennistica non sarebbe neppure iniziata. Cominciamo dalla fine però.

Da una finale che quasi non c’è stata, stretta fra le sfuriate bimani della Bartoli e i tremori di Sabine, l’erede promessa di Steffi Graf, la giustiziera di Serena Williams, che non è riuscita mai a sfoderare il suo tennis bum bum e ha finito per annegare in troppi errori (25), e nelle lacrime che già le rigavano le gote sul 4-1 del secondo set e sono diventate fiume durante la premiazione. «Era la mia prima finale  Slam – ha singhiozzato Sabine – volevo tanto vincerla, spero di avere un’altra chance. Ma voglio dire brava a Marion, che ha fatto tanti sacrifici e si è davvero meritata questa gioia».

Marion che a sei anni già si allenava con i suoi rituali buffi, mimando i colpi a vuoto, provando il servizio con la racchetta legata agli elastici o con un paio di zeppe da fatalona incollate sotto le suole. Tutti esercizi inventati da papà Walter, che per fare della figlioletta  una campionessa aveva mollato il suo ambulatorio alla Monsieur Bovary a Retournac e sfidava i tecnici della federazione francese. Sedute invernali a -8°, dalle 10 a mezzanotte, macchine lanciapalle a comando vocale fatte arrivare dagli Usa, manuali di biomeccanica e testardaggine infinita. Marion per anni ha vissuto in simbiosi totale, in “aderenza assoluta” con quel genitore inflessibile e amorevole, che la caricava di allenamenti e le scoraggiava i filarini. Con lui è arrivata fra le migliori del mondo, a una prima finale di Wimbledon, persa nel 2007 contro Venus Williams. Ma dopo una lunghissima adolescenza anche la ragazzina Bartoli, forme da massaia e Q.I. da genio (140), capace di recitare a memoria la serie di Fibonacci, innamorata di Pierce Brosnan e di Pete Sampras, cresciuta fra devozione e rinunce ma con una passione sconfinata per i tacchi alti e la pittura, ha deciso che voleva essere donna, oltre che figlia. Accadde a Wimbledon, due anni fa, in un quarto turno perso contro Flavia Pennetta durante il quale Marion fece a papà segno di smammare. Di andarsene dalla tribuna. Da allora la Bartoli ha fatto la pace con la federazione e si è affidata ai consigli di Amelie Mauresmo, scollando il cuore del genitore dai doveri di coach.

Nel 2007 c’erano solo i Bartoli, padre e figlia; oggi attorno a Marion c’è una “Bartòsphere” fatta di sei fra tecnici e allenatori. Dall’artigianato all’industria. Sono rimasti gli allenamenti eccentrici – anche con il pallone da rugby – è migliorato (un po’) il fisico di Marion. Ed è ritornato anche Walter. In tribuna, a filmare con l’iPhone la sua bimba che scalava i seggiolini per abbracciarlo dopo la vittoria. «E’ stato normale averlo qui, perché alla base di tutta la mia vita da tennista c’è lui. Era così tranquillo, e anch’io alla fine mi sentivo così leggera, non mi sembrava neppure di camminare sulla terra. E’ da quando avevo sei anni che sogno questo giorno, ma stamattina già ridevo felice. Strano, no?». Benvenuta, Cenerentola, alla fine della fiaba.

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