Più che una giornata nera è stata n’apocalisse, un Armageddon triste, uno di quelle date che nessuno avrà mai veramente voglia di ricordare. Probabilmente il sipario su un’età d’oro che chissà quando rivivremo. Dopo Nadal, uscito malamente al primo turno lunedì, ieri sono rotolati ingloriosamente fuori da Wimbledon anche Roger Federer e Maria Sharapova. Nel mercoledì del record di ritirati nella storia Open dello Slam, ben sette, e delle accuse all’erba troppa secca e scivolosa, a fare notizia è soprattutto il flop degli dei.
Il tonfo del Genio, il campione uscente del torneo, è veramente epocale. Era dal 2002 che Federer non perdeva al secondo turno a Wimbledon – e in uno Slam l’ultimo scivolone prima dei quarti risaliva al terzo turno smarrito contro Kuerten nel 2004 al Roland Garros. Ma allora a sorprenderlo sul verde fu Mario Ancic, un talento puro, giovanissimo, poi rovinato dai troppi infortuni. Stavolta a raccogliere le spoglie del campione è stato Serghiy Stakhovsky, 27enne numero 116 del mondo, che in sei partecipazioni ai Championships aveva vinto fino a ieri una sola partita.
Per carità: un attaccante nato, che ha azzeccato la partita perfetta, aggredendo Federer con un serve & volley da integralista (96 discese a rete, numeri vintage persino a Wimbledon) e un pressing continuo, ispiratissimo. Certo però non lo si può considerare un predestinato, un possibile erede come proprio Federer fu per Sampras nel 2001. Fra l’altro Stakhovsky è il sindacalista più arrabbiato dell’Atp, un cobas della racchetta che più di una volta ha biasimato l’egoismo dei top-player. Quella di ieri è stata, sotto in punti di vista, una lotta di classe.
A vincerla è stato Stakhovsky, ma è la sconfitta di un Federer alla fine sfibrato, senza troppa anima, irritato soprattutto da se stesso e incapace di sfruttare le occasioni, che passerà alla storia. Il divo dei sette Wimbledon vinti, dei 17 Slam, è uscito dal Centre Court a testa bassa, fissando le radici della sua crisi, mentre dalle tribune gli pioveva addosso una standing ovation malinconica, rassegnata, smarrita. Crepuscolare: e non solo per l’ora tarda. Un tributo alla memoria. Questo è lo Slam che Federer, 32 anni ad agosto, un solo torneo vinto quest’anno, aveva eletto a rifugio. Farsene scacciare in questa maniera è uno schiaffo, un’umiliazione che pesa. Accoppiata all’uscita prematura del suo grande rivale Nadal ha il sapore di una “finis tennis”, almeno nella versione in cui l’abbiamo conosciuto negli ultimi dieci, dodici anni.
I due grandi rivali non avevano mai perso contemporaneamente così presto in uno Slam, il bilancio in grigio è difficile da evitare, anche se dopo il match Roger ci ha provato. «Perdere fa sempre male, perdere a Wimbledon, in questa maniera, ancora di più. Mi hanno fatto piacere gli applausi alla fine, ma è una delle sconfitte più dure da digerire. La cura sarà tornare a lavorare, non farsi prendere dal panico. La striscia di 36 quarti di finale che si è interrotta è un gran numero, ma ci penserò quando mi sarò ritirato, non oggi. Anche Nadal ha perso subito, è un segnale, lo capisco; ma non parlerei di fine di un’era, anche se magari sono l’unico oggi a pensarla così. Mi sento bene, a Wimbledon spero di rifarmi l’anno prossimo, e conto di giocare ancora molti anni a tennis». Il discorso di un re pronto ad abdicare.
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