John McEnroe sa usare le parole come un tempo usava le volée, tagliando il campo della conversazione con gesti affilati e perfetti. «Rod Laver è stato il mio idolo – ha detto il Moccioso – e Pete Sampras è stato il più grande tennista da erba della storia. Ma Roger Federer è semplicemente il più grande di tutti».
Il Genio di Basilea ormai da dieci anni si sta dedicando a distruggere tutti i record del tennis, e a Wimbledon l’operazione gli è riuscita meglio che altrove. L’anno scorso ha vinto il suo settimo titolo ai Championships, una impresa che prima di lui era riuscita appunto solo a Pete Sampras fra 1993 e 2000 e al magnifico ma arcaico Willie Renshaw, la metà vincente dei Renshaw brothers, addirittura negli anni ’80 del XIX secolo.
Quest’anno Federer, da numero 4 del mondo, punta all’ottavo trionfo a Church Road, una enormità. Eppure troverete più di un esperto pronto a sostenere che no, l’immenso Federer non è il più grande interprete del “lawn tennis” che la storia abbia prodotto. «Federer è un talento unico, forse il più grande di sempre – fa notare ad esempio Jan Kodes, vincitore di Wimbledon nella famosa edizione del 1973, quella del boicottaggio – ma le volée non sono proprio il suo forte».
E le volée, anzi, il Serve & Volley, la catena virtuosa fra servizio e gioco al volo, è da sempre sinonimo di eccellenza sull’erba, visto che le sfuggenti piantine di segale che formano il tessuto dei court londinesi si prestano meglio di ogni altra al gioco di attacco. Ma guai a dare tutto per scontato.
Se vogliamo immaginare un immaginario “panel” dei più grandi Erbivori dell’era Open, dal 1968 in avanti, accanto a Federer si possono mettere almeno quattro nomi.
Il primo è quello di Rod Laver, l’idolo di SuperMac, l’unico tennista che sia riuscito a completare per due volte nella carriera il Grande Slam, sia da dilettante, nel 1962, sia da professionista, nel 1968. In un epoca nella quale, peraltro, tre Slam su quattro – l’eccezione è il Roland Garros – si disputavano sull’erba. «La forza di Laver – sostiene Adriano Panatta – non stava in un singolo colpo, ma nel fatto che li giocava tutti benissimo, che non aveva un punto debole». Un antenato di Federer, “the rocket”, un campione universale, sicuramente meno potente di Roger, ma dotato di un naturale istinto da volleatore.
Una dote che possedeva anche Boris Becker, il “wunderkind” che nel 1985 scardinò le certezze del tennis impadronendosi delle chiavi del Giardino ad appena 17 anni. Bum-bum è passato alla storia per la potenza devastante del suo servizio, per il coraggio inossidabile che gli permetteva di giocare una seconda palla di servizio sullo 0-40 con la stessa tranquillità di una facile volé sul 40-0. Ma sull’erba ha catturato la fantasia degli appassionati anche per i tuffi, per capriole e gli slanci di cui era capace sottorete. Un talento acrobatico forse unico, che gli è valso tre titoli e sette finali complessive a Wimbledon, l’ultima persa contro Pete Sampras nel 1995.
Proprio la finale del ’95 fu il perfetto passaggio di consegne fra Becker e Sampras, probabilmente il più grande ”erbivoro” che mai calcato le scene del tennis, come sostiene McEnroe. Servizio potentissimo – che Pistol Pete sapeva variare negli angoli e negli effetti – tocco assoluto al volo, perfetto “timing” negli attacchi. E sette titoli, come Federer, pronti a testimoniarne l’eccellenza.
Ma nella storia del tennis sul verde c’è anche una grande eccezione, un caso unico che sconvolge le teorie: quello di Bjorn Borg. Ovvero il re della terra che fu capace di trasformarsi per cinque anni filati, dal 1976 al 1980, in sovrano assoluto dei Championships. Adattandosi in parte alla superfice, esibendosi anche nel serve&volley, ma senza mai abbandonare il suo tennis-percentuale, fatto di regolarità assoluta, passanti inesorabili, tenuta mentale e fisica a prova di bomba.
A riprova che sull’erba, specie quella “rallentata” degli ultimi anni, i sentieri che portano alla vittoria possono essere diversi, ma che la chiave per percorrerli fino in fondo rimane una sola: la classe pura.
Molto interessante, come sempre, del resto.