Parigi è una città che sa ricompensare gli amanti. Nel 2002 Serena Williams (foto Art Seitz) aveva vinto il suo primo Roland Garros, poi sulla terra più preziosa del tennis per lei non c’era stata più gloria. Una semifinale, una manciata di apparizioni nei quarti, l’anno scorso addirittura una bruciante sconfitta al primo turno contro la tignosa ma inadeguata Razzano. Nel frattempo Serena è cambiata, e non solo nel look, trasformandosi in una parigina part-time: casa d’appoggio a Rue de Grenelle, soup d’onion e baguette, lezioni di francese. Ma c’è voluto l’amour, proprio come in un romanzo, per restituirle la coppa intitolata a Suzanne Lenglen, che ieri ha alzato in posa da red carpet dopo aver battuto 6-4 6-4 la sua grande rivale, nonché campionessa uscente, Maria Sharapova.
A raccogliere i cocci dell’orgoglio ferito della Pantera giusto dodici mesi fa è stato Patrick Mouratoglou, coach francese molto trendy, che in corso d’opera si è trasformato anche in fiancé. «Voleva allenarsi per vincere Wimbledon, si è rivolta a me, ho iniziato a seguirla. La vita privata? Scusate – dice il bel Patrick allargando un sorriso da gentiluomo – ma non capisco la domanda».
Fatto sta che dopo i malanni che fra 2010 e 2011 l’avevano portata su un letto d’ospedale e a un centimetro dal ritiro, la cura-Mouratoglou è risultata il più efficace dei farmaci. In un anno Serena ha riguadagnato il primato in classifica e vinto Wimbledon, Us Open e l’agognato Roland Garros, facendosi beffare solo agli Australian Open dalla sua figlioccia Sloane Stephens. Quest’anno ha perso l’ultima volta a Doha contro Vika Azarenka a febbraio, poi ha infilato 31 vittorie consecutive, conquistando ieri il suo sedicesimo Slam. Mai stata così forte. Fra l’altro nessuno nell’era Open era riuscito nell’impresa di vincere lo stesso “major” dopo un digiuno così lungo, anche se a Parigi si ricorda il grande Ken Rosewall vincitore nel 1953 e nel 1968. La trionfale rentrée di Serena, insieme con il pieno recupero della Sharapova, ha messo fine all’epoca delle regine incongrue, e ora nonostante i 31 anni e 247 giorni che la rendono la più anziana campionessa dell’era Open al Roland Garros la vera domanda riguarda i veri limiti del suo secondo mandato. Solo Margaret Court (24 Slam), Steffi Graf (22), Martina Navratilova e Chris Evert (18) hanno vinto più grandi tornei. Proprio per Martina la Williams può arrivare facilmente a quota 23. «Ma io non sapevo neppure di averne vinti sedici», spiega lei, più vezzosa che mai. «Undici anni fa non avrei mai immaginato di ritrovarmi qua, ma oggi mi sento più forte e più bella che mai. Il merito è anche di Parigi, amo questa città e questo Paese, quando sono qui riesco a fare una vita normale. La sconfitta dello scorso anno mi ha motivata: mi spiaceva che proprio questo fosse l’unico Slam dove avevo vinto solo una volta».
Per Mouratoglou la Navratilova ha ragione, Serena ha davanti ancora altri traguardi, altri orizzonti. «Se giocherà fino a quarant’anni non posso dirlo, non lo so. Però ho visto come ha costruito questa vittoria a Parigi. Ci pensava da settimane, anzi da mesi, e il suo modo di lavorare mi stupisce sempre. Raccoglie i suggerimenti, le indicazioni, anche quando sembra che non ti ascolti, e in campo li sa sa mettere tutti insieme. Ed è una persona estremamente determinata: se Serena vuola una cosa, difficilmente non riesce a ottenerla».
A giudicare da come ha vinto a Parigi e Roma, lasciando 3 game e mezzo di media a partita alle sue avversarie sulla superficie a lei meno favorevole, il regno di Sua Altezza Serenissima, come l’ha chiamata l’Equipe, sembra destinato a durare ancora a lungo. «Se penso di ritirarmi al massimo, come la Garbo? – sorride lei, lusingata dal paragone – Be’, ho sempre pensato che lo avrei fatto, ma il problema è: qual è il mio massimo?». Una domanda a cui, evidentemente, può rispondere solo il cuore.
Serenona Grandissima!