Alla fine, dopo quattro ore e 37 minuti di semifinale, gli occhi di Novak Djokovic sembravano un pozzo lontano. E riflessa in quell’azzurro improvvisamente opaco c’era la sagoma di un fantasmino con la bandana che Nole, probabilmente, pensava di aver scacciato un paio d’anni fa, e di nuovo quest’anno esorcizzandolo a Monte-Carlo. Lo spettro del Guerriero Assoluto.
«Nadal ha vinto perché ha saputo giocare colpi eccezionali nei momenti che contavano», ha esalato il Number One del mondo, appena disarcionato dal suo sogno di vincere l’unico Slam che gli manca. «In fondo, è proprio il motivo per cui da tanti anni domina qui a Parigi».
E’ stata l’ennesimo match omerico fra Djokovic e Nadal, il trentacinquesimo in totale di una serie che ha già raggiunto rivalità leggendarie come Connors-McEnroe e Connors-Lendl, e superato quella fra Agassi e Sampras. Nadal l’ha vinto verrebbe da dire ai supplementari (6-4 3-6 6-1 6-7 9-7), o se preferite in zona-Nadal. Quella dove paura e sofferenza diventano paradossalmente un conforto, in un quinto set a cui è arrivato dopo aver vinto il primo, dominato il terzo, gettato al vento per due volte un break nel quarto, e nel quale si è trovato sotto 1-3 esull’orlo del 3-5.
Da quel sepolcro è uscito piazzando due-tre rovesci irreali, giusto all’incrocio della riga, e salvandosi nell’ottavo game prima grazie ad un tracciante di dritto in pieno allungo di cui probabilmente ha il copyright in esclusiva, ma soprattutto a un pasticcio dell’avversario. Sul 40-40 Nole si è infatti trovato sulla racchetta a un passo dalla rete lo smash che lo avrebbe portato a servire per il 5-3; ma ci si è avventato con troppa foga, inciampando nel vento e commettendo una incredibile (e imperdonbile) invasione. Ceduto il servizio, di smash banali ne ha poi sbagliati altri due facilissimi, uno su un disperato colpo sotto le gambe di Nadal, e ha finito per consegnarsi ad un Rafa ruggente, immenso, torreggiante, giunto così alla sua ottava finale in nove anni.
A Parigi ha perso un solo match su 59 incontri, nel 2009 in ottavi contro Soderling, domani può addentrarsi nell’inedito: nessuno nella storia del tennis ha mai vinto lo stesso Slam otto volte.
«No, non mi sento imbattibile, neppure qui», ha sorriso ieri. «E poi la coppa non ce l’ho ancora in mano, no? E’ stato un match pieno di emozioni, fra quelli che ho giocato contro Nole lo metto al secondo posto dietro alla finale che ho perso agli Australian Open nel 2012. Nel quarto set ho sprecato un’oocasione, è vero, ma dopo i break ho dovuto servire contro vento, e da quella parte era difficilissimo vincere un game. Sono contento di come ho giocato, ma soprattutto di come ho reagito nel quinto set». La ricetta in fondo è semplice: «io amo questo tipo di match, sono quelli che fanno grande lo sport. E mi piace soffrire quando li gioco, anche perché l’anno scorso, per colpa dell’infortunio al ginocchio, soffrivo molto di più quando ero costretto a guardarli in televisione».
La finale Nadal se la giocherà in un derby spagnolo contro il suo amico Ferrer, che a 31 anni è riuscito ad arrivare ad un big-match dello Slam. I precedenti (19 a 4, Nadal ha vinto gli ultimi 8) e il senso di reverenza che David sembra provare per Rafa in campo chiudono il pronostico, ma Ferrer otterrà comunque la sua rivincita: comunque vada la finale, grazie agli algoritmi del computer, lunedì scavalcherà Rafa al n.4 del ranking.
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