Federer-Nadal, quelli che salvano il tennis

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Hanno quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così, di chi deve salvare il tennis. La nouvelle vague – Dimitrov, Janowicz, Raonic, Tomic, Paire – sta mettendo le foglie, ma non è ancora pronta a farsi foresta. Djokovic è bravo ma non esalta, Murray funziona come gli alberini di Natale, con prevedibili intermittenze del cuore. Così per il momento tocca ancora a loro: al Genio e al Nino, all’apollineo e al dionisiaco, a Federer e Nadal, i dioscuri di un decennio che dopo 7 anni si ritrovano in finale a Roma.

Nel 2006 fu roba ghiotta, cinque set da masterchef del tennis (si giocava ancora sulla distanza lunga), decisi alla fine da un dritto di Federer volato fuori di un amen, una delle finali più belle nella storia del Foro Italico, e degli ultimi vent’anni di tennis. Federer era al top, come direbbe Briatore, Nadal era già l’ombra luminosa che lo incalzava nella leggenda. Il baby Dioniso oggi ha ormai 27 anni, l’Apollo con due gemelle a carico quasi 32, ma in fondo ad un torneo avaro di emozioni ci sono arrivati segnando il tabellone a modo loro, come sempre. Nadal sudandosi due maratone contro Gulbis e Ferrer, Federer fulminando i rivali con la grazia di sempre, l’ultimo il diavolone Paire in semifinale. Ma Rafa dopo 7 mesi di stop per l’infortunio al ginocchio ha infilato, con quella di oggi,  8 finali consecutive, vincendo 5 tornei e mordendo la terra (quasi) come negli anni d’oro.

Se vincerà oggi, oltre a raggiungere quota sette vittorie nella capitale, tornerà n.4 del mondo, con conseguenze benefiche in vista del sorteggio di Parigi. Roger invece, alle prese con qualche acciacco alla schiena, da gennaio ha giocato appena 5 tornei, portando a casa la miseria – per lui – di due semifinali a Melbourne e a Dubai. E zero tituli. Quella di oggi sarà la trentesima sfida tonda fra i due fenomeni, Nadal è in vantaggio 19-10, 12-2 se si contano solo le sfide sulla terra. E Roger a Roma è sempre andato in bianco, due finali du esconfitte (l’altra nel 2003 con Mantilla). La tentazione è di vedere una luce di crepuscolo in questo appuntamento in apparenza squilibrato sul centrale del Foro.

«Se mi ricordo bene – replica Rafa con un sorrisino sghembo –  dicevate la stessa cosa già tre o quattro anni fa. Eppure è il 2013, e siamo ancora qua. Dite che Federer è vecchio, ma se analizzo i suoi risultati mi pare che se la stia cavando ancora bene, no? Anche perché non resti n. 3 se non giochi bene ». Dopo l’infortunio anche di Nadal si sono scritti elogi para-funebri, mentre al “clasico” fra Spagna e Svizzera si andava sostituendo la nuova rivalità fra Djokovic e Murray. Sic transit, eccetera, eccetera. «Ma non era sbagliato… – dice Rafa allungando ad arte la pausa -… in quel momento. Siete giornalisti, dovete scrivere, no? Guai a vivere nel passato. Va bene così. Io posso solo dire che essere già  n.5 dopo quello che mi è capitato, è un sogno. Comunque vada contro Roger, che è sempre il più grande tennista della storia».

Il collega è della stessa idea: «Sono orgoglioso della rivalità con Rafa, e forse adesso in campo ci divertiamo più che nel 2006. l’ultima volta qui a Roma siamo stati in campo 5 ore, stavolta non è possibile, 2 e mezzo basterebbero. Però domani è la mia terza finale in questa che è la città più bella del mondo, e spero che sia quella buona». Comunque vada, Roger, sarà un successo.

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