Jerzy Janowicz non è uno che si nasconde. Un po’ perché con i suoi 203 centimetri di altezza difficilmente riuscirebbe ad occultarsi, un po’ perché non è nel suo carattere. «Odio fingere, sono sempre me stesso, in campo sono le emozioni che mi guidano», aveva detto a febbraio, e ieri il flusso dei sentimenti lo ha messo letteralmente a nudo. Appena finito di battere in due set Jo-Wilfried Tsonga, ottava testa di serie a Roma, il pivot di Lodz si è lacerato la maglietta, copiando una moda inaugurata anni fa dall’irascibile romeno-australiano Andrew Ilie (o se preferite dall’incredibile Hulk) e ripresa più recentemente da Novak Djokovic. Di JJ – 22 anni, polacco, oggi n.24 Atp – ci eravamo accorti lo scorso anno quando, da qualificato, aveva disboscato il tabellone del Masters 1000 di Bercy a forza di servizi a 230 all’ora (ma è arrivato anche a 251) e perfide palle corte, eliminando tre top-20 e due top-10 (Murray e Tisarevic) prima di arrendersi in finale a Ferrer. Quest’anno, a parte i quarti a Marsiglia, aveva latitato. «Colpa di una infezione alla gola e al naso che si sono beccato giocando in Coppa Davis contro l’Inghilterra», ha spiegato. «A Monte-Carlo e Barcellona ci sono ricaduto, adesso finalmente sto bene: per questo ero così contento di aver battuto Tsonga». Lo saranno anche i suoi genitori, Jerzy senior e Anna, che per farlo crescere (tennisticamente, s’intende) anni fa si sono venduti case e appartamenti. Ora Jerzy si ritrova in ottavi contro Gasquet e con la prospettiva di trovare nei quarti Federer. «Uno che se la tira», come ha detto tre mesi fa quando è stato poco gentile anche con Djokovic: «è falso, gli piace solo recitare». Dovesse capitare li affronterà, immaginiamo, a petto nudo.
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