Seconda puntata del nostro viaggio nel mondo complesso delle gare in automobile insieme all’ingegner Andrea Toso della Dallara. Esiste una cultura del motorsport? E come si concilia con le esigenze industriali e di marketing ? Quali sono le radici storiche delle gare? E quali i percorsi attraverso cui le grandi nazioni sono giunte all’automobilismo? Per capirlo è utile ricorrere ai…classici. Senza trascurare il lato “mistico” dello sport
Andrea, parliamo un po’ di storia, vuoi? Secondo te fin dove affondano le radici delle competizioni sportive?
«La Cultura del Motorsport è la Competizione in un contesto così rischioso che ne deriva gloria; il premio in sé non è l’elemento fondamentale. Già gli antichi avevano descritto questa cultura, ad esempio nel piccolo trattato “Ierone”, di Senofonte, spesso citato da Machiavelli, troviamo questo passaggio: «..Se temi che offrendo premi a molti derivino molte spese, considera che non ci sono merci più vantaggiose di quelle che gli uomini comperano con i premi. Così nelle competizioni piccoli premi producono grandi spese, molte fatiche fisiche e molto impegno..».
Quali furono i motivi che portarono, invece, alle prime gare moderne?
«L’inizio del Motorsport nasce con la produzione delle prime automobili. Il circuito di Indianapolis organizzò la prima competizione automobilistica nel 1911, all’epoca di Henry Ford e Alfred Sloan (fondatore della General Motors): nello Stato dell’Indiana ci fu un fiorire di tanti piccoli costruttori locali (come Allison), così come in Europa (Mercedes, Fiat.. ). Il progresso tecnico fu guidato dalla competizione tra industrie per acquisire quote di mercato. Un fenomeno ricorrente, caratteristico di nuovi settori in forte espansione e fermento. Il Motorsport come lo intendiamo oggi potrebbe essere datato all’epoca in cui cessò di essere solo sport per diventare parzialmente una leva di marketing: la sponsorizzazione della John Player Special per la Lotus risale al 1972. Possiamo dire che si è trasformato definitivamente in industria di intrattenimento negli anni 2000».
Secondo te è possibile periodizzare la storia del motorsport, individuandone ad esempio un periodo pionieristico, uno romantico, uno classico e uno postmoderno?
«Proviamoci. L’Inizio fu Romantico, i piloti erano collaudatori, spesso ingegneri e tecnici (Chevrolet negli Stati Uniti ne è un esempio, un altro è Mark Donohue; più recentemente, forse l’epigono, John Miles collaudatore Lotus e pilota di Formula 1). Il loro scopo era verificare la funzionalità e l’affidabilità delle prime autovetture al limite delle prestazioni su un terreno sconnesso: ricordiamoci che loo Speedway di Indianapolis non era asfaltato, ma fino agli anni 30 era lastricato di mattoni, da cui il termine Brickyard. La Seconda Fase la possiamo legare alla promozione pubblicitaria – la réclame, come si diceva un tempo – di prodotti tipicamente maschili: tabacco ( Marlboro, JPS ), benzine (Gulf, Shell), accessori e abbigliamento, via via sino a prodotti più generici e di largo consumo, principalmente alimentari e di abbigliamento. La Terza fase – quella della postmodernità, se vogliamo – è stata caratterizzata come promozione di servizi: telecomunicazione, software, assicurazioni, trasporti, banche, è quella attuale. La prossima fase riguarderà forse la promozione dell’educazione ingegneristica. Per sensibilizzare i giovani ragazzi ad intraprendere gli impegnativi studi di ingegneria affascinandoli con la palestra delle competizioni»
Ma in che termini si può parlare di cultura del motorsport? Quali sono i valori base di questo mondo?
«Il valore è ciò che ci fa sentire bene, in salute, al nostro posto nel mondo: il “valeo” dei Latini. Valore è ciò che è riconosciuto senza incertezze, conveniente al di là del prezzo, e comprende l’affettività, la credibilità. Per gli Europei il Valore evoca rarità, bellezza. Per gli Americani è il “prezzo atteso” ed evoca buona fattura, gusto, forma, solidità, comodità, qualità evidenti al consumatore come facilità di acquisto, scelta disponibile, consegna a domicilio, manutenzione, assistenza. Comprimere il valore (prezzo atteso) entra in conflitto con il Valore (gusto, civiltà, cultura). La cultura è quello che un’organizzazione (una famiglia, un’associazione, un team, un’azienda, una nazione ) accumula collettivamente nel tempo mentre impara con successo ad affrontare la sfida con l’ambiente esterno e l’integrazione al suo interno. La cultura nasce dal contesto e produce un comportamento ottimale adeguato perché conviene, è saggio, sicuro e sperimentato; i “valori “ sono quindi ciò che unisce i componenti dell’organizzazione, sostiene i comportamenti funzionali al sistema, penalizza i comportamenti dannosi. Sono, in sintesi, la ragione dello stare insieme, il legame forte tra le persone, il codice etico. Alla luce di quanto abbiamo appena scritto, la Cultura del Motorsport è un’ intrattenimento ad altissima emozione il cui codice etico fondamentale è il rispetto dell’avversario in condizioni di rischio evidente a tutti. Se non si generano emozioni o se non si rispetta l’avversario, si viene meno al senso del Motorsport.
Passiamo ad un po’ di “geopolitica” delle corse: quali sono state le grandi nazioni che hanno portato allo sviluppo dell’automobilismo e quali ritieni sia stata la natura del contributo di ciascuna allo sviluppo del settore?
«Ogni nazione ha trovato la strada per sviluppare l’automobilismo secondo la propria cultura. In Inghilterra i circuiti sono derivati dai campi volo: Snetterton, Silverstone aeroporti dismessi della II Guerra Mondiale – mentre la riconversione post-bellica delle officine specializzate ha favorito l’affermazione di talenti ingegneristici abituati a pensare e realizzare veicoli leggeri e veloci. Negli Usa i circuiti sono nati dalla riconversione degli ippodromi (poi trasformati in autodromi), soprattutto sulla costa Est; più a Ovest, nella zona delle grandi praterie, sono sorti gli “strip” dei “dragster”; nel Mid West, terra di motori che comprendeva Indianapolis e Detroit, sono nati gli Speedway per verificare l’affidabilità dei veicoli destinati alla produzione di massa. In Italia e In Francia i circuiti sono sorti nelle città (Modena, Reims, Digione), o nei parchi (Monza) e nelle città Termali (Spa). In Germania, i tracciati di Avus e Nurburgring sono stati pensati per affermare pubblicamente la potenza del regime. Le corse riflettono la cultura e la cultura è sempre legata alla storia e alla geografia: dai grandi spazi dell’Arizona alle strade polverose della targa Florio».
Le ragioni del business e quelle dello sport agonistico puro: credi ci sia un approccio “filosofico” in grado di conciliare questi due aspetti spesso così contrastanti fra di loro?
«Lavorare nel Motorsport richiede una pratica rigorosa, un impegno di tempo cha va molto al di là dell’orario contrattuale perché comprende di norma il sabato e la domenica, un’onestà intellettuale di fondo: ogni due settimane il cronometro è impietoso, non c’è marketing che tenga. Per sopravvivere e trovare soddisfazione nel Motorsport, questo “abito mentale” si impara subito e si mantiene per sempre, anche nelle relazioni umane; per questo è difficile avvicinarsi al Motorsport provenendo da altri settori industriali. In ogni attività il triangolo maledetto – “tempo”, “costi”, “prestazione” – impedisce di raggiungere tutti i vertici: per ridurre i tempi aumentano i costi o si riduce la prestazione (o la qualità del prodotto); per ridurre i costi aumentano i tempi o la qualità; per aumentare la prestazione aumentano i costi, eccetera…. In questo conflitto perenne, la peculiarità del Motorsport è l’enfasi sul fattore tempo: «Se sei pronto, la gara è domenica alle 15, se non sei pronto la gara è domenica alle 15». Per completezza possiamo dire che l’enfasi sulla prestazione è tipica del settore militare, infine l’enfasi sul costo è tipica dei prodotti industriali di largo consumo. Al di là di queste estreme situazioni, tutte le altre attività industriali operano compromessi nelle tre dimensioni».
Nello sport c’è spesso un richiamo ad un lato “mistico” dell’esperienza sportiva – vedi la definizione di Forster Wallace di “Federer come esperienza religiosa”. Credi che questo accada anche con le corse? Ayron Senna è forse stato un “mistico” delle corse?
«Ad Olimpia, nel VII secolo avanti Cristo i giochi erano espressione diretta del culto religioso comune tra le varie città-stato, oggi diremmo fra le varie nazioni. Il Motorsport e tutto lo Sport in generale con dimensione mondiale (pensiamo al Campionato di Formula 1 o ai Campionati di Calcio) è la nuova religione che, nell’uso di questa parola, indica ciò che “lega” insieme, accomuna persone di continenti diversi, razze, credenze religiose e idee politiche. Ecco quindi spiegato il fatto che gli “eroi sportivi” nell’immaginario collettivo assumono connotazioni “mistiche” e “carismatiche” soprattutto quando, come Federer e Senna, mantengono con impegno e coerenza comportamenti pubblici ineccepibili nel tempo. Le tragedie dello Sport, nei casi di Senna, Villeneuve e tanti altri, esaltano la dimensione “religiosa” perché l’emozione pubblica è fortissima, immPostlethwaiteediata e comune»
Infine, per chiudere con qualche indicazione per chi ha voglia di approfondire l’argomento: ci sono libri la cui lettura ti senti di suggerire?
«Consiglio vivamente di leggere il libro “The unfair advantage”, la storia del Team Penske scritta da Mark Donuhue, ingegnere, vincitore di Indianapolis, pilota di Nascar, GT, e altro ancora. Questo libro descrive la cultura della ricerca rigorosa e continua del vantaggio competitivo, misurabile, concreto e pratico; racconta gli insuccessi e le lezioni imparate in un ambito in cui il cronometro è giudice imparziale. Durante la lettura di questo libro è immediato per ciascuno trarre paralleli e analogie alla propria realtà lavorativa».
Post scriptum a quesata ultima risposta e all’intera conversazione: c’è una personalità che a tuo avviso può incarnare un atteggiamento “umanistico” al mondo delle corse?
«Senza dubbio Harvey Postlethwaite».
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