Ieri sera testimonial di Moet & Chandon, stasera in campo contro il suo amico Potito Starace per il suo debutto nel torneo: la stessa scioltezza. Come Anfitrione poi Roger è davvero speciale: una battuta continua – sul golf che lo interessa ma gli fa venire il mal di schiena, sulle gemelline deluse perché quest’anno papà non ha portato a casa il trofeo di Madrid come lo scorso anno – e un sorriso per tutti. Non il sorriso-paresi da serata “corporate”, il buonumore imposto dal marketing; piuttosto la genuinità e l’immediatezza dell’amico con cui scambiare due parole, una impressione, una curiosità.
Con Roma e con l’Italia del resto Federer ha un feeling speciale. Quando viene da queste parti ha sempre un tavolo riservato alla Taverna di Trilussa, a Trastevere, al torneo spesso incontra il suo amico Francesco Totti: il suo cuore di fanatico di calcio batte per il Basilea, ma la sua squadra italiana è la Roma. Fra «magici», del resto, ci si intende. Il suo album di ricordi è pieno di istantanee scattate nella Penisola. Non è un caso, probabilmente, che il suo primo grande torneo l’abbia vinto a Milano. E la geografia, nelle sue parole, si allarga anche ad altri cantucci made in Italy. «Fin da juniores ho partecipato a tanti tornei da voi, qui mi sono sempre trovato bene. Ho bei ricordi di Genova, e di Camogli dove per tutta la settimana ho cercato una spiaggia di sabbia, e invece ne ho trovata una di scogli: un po’ duretta per i miei gusti. Sarà per quello che oggi soffro di mal di schiena?». E giù una risata. Il malumore dei giorni scorsi, sarà il fascino del maggio romano, sembra svanito. E anche le due finali perse al Foro, quella del 2003 contro Felix Mantilla, quella del 2006, non fanno poi troppo male. La mancanza del suo nome nell’albo d’oro del torneo è come uno strappo nello smoking, una mancanza che gli appassionati faticano ad accettare. E a perdonargli (bonariamente, s’intende). Ma lui non è rassegnato.
«E’ vero, qui non ho mai vinto – sorride il Genio – ma ancora mi ricordo di essere stato a un.. dritto dal battere Nadal in finale, nel 2006. Chissà che quest’anno non sia quello buono. Del resto io, sulla terra battuta, ci sono cresciuto. E nel frattempo ho vinto al Roland Garros: quando ci riesci hai la sensazione di poter vincere ovunque sulla terra rossa».Gli anni passano per tutti, anche per gli eroi. Ad agosto Roger ne compira 32, le due gemelline occupano spazio e tempo nella sua esistenza da fenomeno. Quest’anno è ancora a secco di vittorie, giusto una semifinale in Australia e una in Dubai. Poco, per una leggenda. E la terra rossa non è facile da domare, per un ultratrentenne: a Madrid, gli ricordiamo, la settimana scorsa non è andata benissimo.
«E’ vero, ero fuori forma, ma qui è un’altra cosa. Poi ti dico una cosa: a me non capita mai di giocare male due tornei di seguito. Non ne ho giocati tanti quest’anno, magari qualcuno mi critica perché non mi vede spesso in giro: ma sono sempre qui per vincere, ve lo assicuro».Che grinta, che ottimismo. «Sarà che sono contento di giocare contro il mio amico Potito, una gran persona. Gli ho telefonato pochi giorni fa, abbiamo scherzato, gli ho chiesto come mai aveva vinto il challenger di Napoli e non quello di Roma. Il mio italiano non è granché, ma con lui – aggiunge passando dall’inglese alla nostra lingua – parlo solo italiano. E così sono contento di giocare contro il mio amico napoletano». Roger, uno di noi.
Eh,che te dicevo?