Shane Hmiel, un inferno americano

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di Marco Cortesi (dal Magazine di  Italiaracing.net)

A volte, in America si dice, “all’inferno e ritorno”. Ma ci sono casi in cui gli eventi di una vita e di una carriera si alternano in maniera ambigua e drammatica, prendendo pieghe contorte e spesso dolorose. Shane Hmiel era considerato uno dei talenti più promettenti nella storia recente delle competizioni stock-car americane. Figlio di un ingegnere capo stimato e vincente, qualcuno l’ha definito “un dono di Dio alle corse su ovale”. L’imperfetto è però d’obbligo, perché proprio di imperfezione si tratta. Hmiel sta fuori tutta notte, vive pericolosamente ma, soprattutto, ha un problema di droga. In pista, il talento gli salva la faccia e i risultati, ma non ci vuole molto prima che le maglie dell’antidoping della NASCAR si stringano su di lui. Anche in virtù delle doti e dei risultati ottenuti, gli vengono concesse due possibilità. Ma dopo la marijuana arriva anche la cocaina e, fratello, strike tre, eliminato. Hmiel continua per un po’ lungo la stessa scivolosa china, negando la realtà e riducendosi ad uno straccio. Nel 2007 lo ricoverano in ospedale, a causa di un’infezione alla mano. Si scoprirà che c’è conficcato un dente, “raccolto” facendo a pugni ad un festino. L’infezione è così grave che si rischia l’amputazione. A quel punto, per lui e per la famiglia è tutto chiaro. La carriera è andata, ma c’è da salvare la pelle perché, continuando così, il finale può essere soltanto uno. Dopo due anni di comunità, terapia, disintossicazione e drammi esistenziali, Hmiel chiude il capitolo.

Pulito e rimesso in sesto (pare che, a causare i suoi eccessi, fosse anche un disturbo bipolare) torna alle corse iniziando dalle gare midget dell’USAC, l’unico organizzatore disponibile ad accettarlo al pista. I risultati sono buoni il primo anno, strepitosi il secondo, e come una volta i record tornano a cadere. Era perfino in procinto di tentare il debutto in Indy Lights e di puntare a una nuova carriera professionistica che, col manico che si ritrovava, non poteva che avere potenzialità enormi. Era, ritrovava e poteva, perché come sappiamo, il nostro destino è imperfetto quasi quanto noi. A Terre Haute, durante un giro di qualifica, la sua auto si ribalta e finisce di testa contro il muro in cemento. I danni, sul roll-bar quanto sulla colonna vertebrale, sono devastanti. La diagnosi, ammesso di aver salva la vita e di respirare autonomamente sembra un regalo. Shane Hmiel è tornato al volante di un’auto da corsa, appositamente modificata lo scorso gennaio, tramite l’associazione Accessible Racing, nata con l’obiettivo di portare in pista persone con disabilità, in particolare invalidi di guerra. Controllando la vettura con il braccio destro, è tornato a calcare la pista a Rockingham. Dopo due anni, rimane confinato su una carrozzina, ma con uno sforzo disumano continua a recuperare mobilità, giorno dopo giorno. Poco a poco, forse prima o poi potrà anche tornare a camminare. Ha fondato un team e dà una mano alla famiglia, in particolare quella della madre, che dai giorni dell’incidente ha creato una pagina Facebook che racconta la sua sfida. Recentemente, ha anche realizzato un sogno. Entrare nel paddock della NASCAR dal quale era stato bandito a vita. Chi l’avrebbe mai detto che qualcosa che una volta era così semplice avrebbe potuto rappresentate una vittoria così grande?

Comments

  1. bellissima storia campèon!

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