Inizia il nostro viaggio nel mondo complesso del motorsport in compagnia dell’ingegner Andrea Toso della Dallara. In questa prima puntata introduttiva ci chiediamo quale sia il valore delle regole in pista (e nella vita), da dove venga l’amore dell’uomo per la velocità, chi siano oggi i piloti e quale sarà il futuro di uno sport diviso fra passione per il rischio e ricerca della massima sicurezza (tutte le puntate saranno pubblicate in anteprima su Italiaracing)
Andrea, partiamo dalle regole. Pietro Mennea, un grandissimo campione che la velocità ce l’aveva nel sangue, sosteneva che il bello dello sport è che impone regole chiare. E che proprio per questo può essere una scuola di vita. Sei d’accordo?
«Le regole sono le ragioni profonde che determinano nel tempo la vita e la morte, il successo e l’insuccesso, la crescita e il declino delle organizzazioni. Le organizzazioni che funzionano bene, anche nello sport, hanno regole chiare e distinte, reali, conosciute, applicate e rispettate. Le regole aiutano o limitano? Sono un ostacolo da aggirare o un vantaggio per tutti? Quale è il nostro reale rapporto con il mondo delle regole, con l’idea di disciplina e quale è la sottile indulgenza verso la cultura dell’improvvisazione, della tolleranza, del compromesso, del favoritismo? Ogni sport ha le sue regole specifiche. Nel calcio non puoi toccare la palla con le mani, devi dare i calci alla sfera e non all’avversario; nella pallacanestro devi toccare la palla solo con le mani e non puoi toccare l’avversario. Se non conosci le regole del baseball, lo guardi in TV e non capisci nulla, non partecipi allo spirito del gioco e non ti diverti. Tutti gli sport hanno regole generali, dette “codice sportivo” , e queste regole separano lo sport da altre attività, per esempio commerciali. Se nel business un concorrente ha un problema. Gli altri sono felici di approfittarne. Nello sport, se un campione di ciclismo cade in corsa, il principale concorrente lo aspetta e non ne approfitta perché una possibile vittoria non gli renderebbe onore. Lo sport vero, quello prima del business, è educativo per definizione; educa alla legge del risultato conseguito solo con i tuoi meriti, al rispetto dell’avversario, all’autodisciplina, all’impegno totale, all’accettazione della sconfitta, alla competizione e non alla guerra. La “regola”, del resto, è stata la pietra fondante degli ordini religiosi medioevali per darsi una specifica identità, una ragione istituzionale riconoscibile, una comune ragione di esistere. Ancora oggi la “regola” è origine ed essenza di una organizzazione, ne legittima e garantisce la sopravvivenza. Le regole dicono chi sei, chi ti proponi di essere, le proposte che fai di te, della tua persona e della tua organizzazione. La regola è vincolo, rigidità, oppure aiuto e supporto all’azione? Le regole sono l’unico modo possibile per agire collettivamente, attribuiscono un significato alle nostre azioni»
Le corse motoristiche, il motorsport come ormai si dice oggi anche da noi, offre però un paradosso: ci attrae perché offre brividi ed emozioni, eppure cerchiamo di ridurne sempre più i rischi. Possibile?
«La velocità attrae l’uomo da sempre, perché alla velocità associamo il concetto di un atto eroico che non è alla portata di tutti: di un’impresa rischiosa. Questo accadeva già con le corse delle bighe dei Romani e più indietro con le corse di cavalli alle Olimpiadi nel IV secolo avanti Cristo. Oggi più che mai la ricerca della sicurezza è la responsabilità primaria e costante di chi promuove il motorsport e di chi ne fornisce gli attrezzi specifici (motori, autoveicoli, penumatici, freni etc ). Al crescere della sicurezza, tuttavia, cresce il sentimento di invincibilità da parte dei piloti-eroi e diminuisce la distanza tra l’uomo comune e il pilota professionista, al punto che con i moderni simulatori è possibile sperimentare l’adrenalina delle corse in condizioni di rischio zero. La tendenza del motorsport, inteso come industria di intrattenimento, di raggiungere un pubblico sempre più vasto per aumentare i profitti genera quindi i motivi per la propria crisi. Davvero un paradosso. Il Motorsport è, o dovrebbe essere lo sport di chi usa un automobile per competere insieme – non contro! – ad alcuni avversari, per un premio per lo più simbolico. La tensione collettiva di fronte al rischio di affrontare la morte è stata nel tempo utilizzata per divertire il popolo e infine per alimentare un’industria profittevole al punto che l’intrattenimento, che comprende cinema, videogiochi, è forse l’industria più prospera di questi tempi».
Chi corre oggi in automobile? Il pubblico di serie popolari come la Formula 1, o la Nascar in America, attraversa tutte le classi sociali. Ma a differenza del calcio, o dell’atletica che citavamo all’inizio parlando di Mennea, raramente offre la chance di emergere a chi non dispone di mezzi economici rilevanti.
«Occorre essere onesti: il motorsport è uno sport per ricchi, figli di ricchi o ragazzi aiutati da ricchi, siano questi alcuni governi come quello del Venezuela o alcune industrie di settori specializzati ad alta tecnologia. Il motorsport, a differenza dell’atletica, del nuoto o del calcio, richiede un’ “attrezzatura” ed una “infrastruttura” ( circuiti, personale specializzato, laboratori, eccetera) costosa, che invecchia precocemente, nel’arco di un anno o poco più ). Chi corre in macchina oggi forse cerca proprio l’esclusività di uno sport accessibile a pochi.
Le polemiche che in maniera ricorrente – e prevedibilissima – investono la Formula 1 quando i “diritti” di un pilota vengono sacrificati alla “ragion di stato” dei vari team, sollevano un’altra questione: dobbiamo considerare le corse uno sport individuale, o riconoscere che anche egoisti “assoluti” come i piloti devono piegarsi alle esigenze della squadra?
«Uno dei concetti più difficili da assimilare per un pilota è quello di lavoro di squadra. Il motorsport, al di là delle apparenze, non è uno sport individuale. Molti piloti falliscono perché hanno un pessimo rapporto con i propri ingegneri e meccanici, perché non rispettano il lavoro non sono riconoscenti verso gli altri componenti della squadra che lavorano dietro le quinte e dietro le telecamere. Per vincere, o comunque per ottenere risultati importanti, il pilota da solo non può nulla, così come il pilota di un aereo militare non può compiere la sua missione se l’apparecchio non è perfetto, pronto, revisionato e aggiornato; se tutti sono coordinati sui tempi e obiettivi».
Dizionario
“Team” è una parola inglese, presa dal contesto contadino. [Old English team “set of draft animals yoked together,”] “Team-mate” è l’animale che condivide con noi il giogo; aspetto molto diverso da “compagno” che condivide con noi il pane…. “Team” indica, più che una organizzazione, una funzione rigida di poche persone in cui ciascuno ha un ruolo preciso a cui non può sottrarsi, legami stretti con i colleghi [“i finimenti” per continuare l’analogia..], in cui tutti hanno lo stesso un obiettivo, (non necessariamente sono al corrente dello scopo… ). La parola “team” indica più la funzione che l’organizzazione
“Squadra” è una parola dal latino “quadratum” è una parola del contesto militare, indica una particolare formazione di soldati schierati in file parallele sotto l’ordine di uno stesso capo. Rispetto a “team”, “squadra” pone più l’accento sull’organizzazione dei soldati più che sulla funzione.
“Scuderia” come si può facilmente intendere proviene dal contesto dei cavalli ed è di derivazione francese “ecurie”. Così come Scudo, la parola proviene da “Skutos”, in greco antico “Cuoio”, pelle del cavallo e per estensione armatura, protezione. “Scuderia” indica non solo l’organizzazione delle persone, come “squadra”, ma comprende le attrezzature, i veicoli, le persone stesse. “Scuderia” fa riferimento agli albori un po’ romantici delle competizioni motoristiche e resta nella denominazione della “Scuderia Ferrari”, quando “sport” era davvero “diporto” Altri termini trasferiti dal mondo dei cavalli al mondo Motorsport sono “corsa”, “gran premio”, “potenza del motore in cavalli”, “assetto”, (posizione che il cavaliere tiene quando cavalca per guidare correttamente l’animale ed essere sicuro della stabilità su di lui), “box” (dove si tiene il cavallo di notte), “paddock” ( il recinto dei cavalli), “pit” ( la fossa per far bere i cavalli ). Ricordiamo infine che i circuiti ovali americani derivano da ippodromi; sugli ovali si corre sempre in senso antiorario perché i cavalli hanno la preferenza a girare in senso antiorario.
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