Un team sull’orlo di una crisi di nervi. Trattasi della Red Bull, la dominatrice degli ultimi tre mondiali, che dalla Cina se ne torna ammaccata. Vettel è finito quarto, è vero, e avrebbe anche potuto arrivare terzo con un giro di più; e comunque resta in testa al mondiale. Ma a guardarla bene la lattina sembra più mezza vuota che mezza piena, e forse, probabilmente, a incidere sulla deludente trasferta di Shanghai è stata anche la prova di forza (meglio: di furbizia) di Vettel a Sepang.
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Dalla Malesia baby-face se ne era andato a capo chino, chiedendo venia a tutti. A Shanghai è arrivato spruzzando arroganza da tutti gli scarichi. «Non devo scusarmi per la vittoria, non mi scuso certo con Webber che non ha mai fatto niente per me e il team, ecc, ecc, bla, bla ». Insomma, il capitolo primo del manuale Come Spaccare Una Squadra. Risultato, nella Red Bull a Shanghai c’era più elettricità che in mezzo ad un temporale, e come si sa i nervi tesi non aiutano quasi mai a prendere le decisioni migliori. Infatti i bibitari hanno deciso (sventatamente) di sacrificare le qualifiche per conservare le gomme per la gara, poi hanno sbagliato il timing dell’ultimo pit-stop di Vettel. In compenso, dopo essersi vantati di essere vicini ai due secondi netti per un pi-stop, hanno mandato in pista Webber con tre chili di carburante in meno e una gomma svitata. Crocodile Mark di conto suo ci ha messo un tentativo di sorpasso come non se ne vedono neanche in Formula Abarth. Ma qualcuno, dopo il mobbing più o meno palese di cui l’australiano, reo di aver messo in discussione il principino Vettel, è stato vittima dopo l’ultimo GP, qualcuno forse dovrebbe chiedersi se non si ammazzano così anche i piloti.
Ora si parla addirittura di una sua sostituzione in corsa, e sicuramente alla Red Bull non si respira l’aria migliore. Intendiamoci: quella di Mateschitz e Horner è una grande squadra, con tutte le chance di vincere anche quest’anno il mondiale – che però spesso nasconde un filo di arroganza e di ipocrisia di troppo sotto il velo di un’apparente spregiudicatezza. Pronunciarsi contro i giochi di squadra, pur praticandoli ad ogni pie’ sospinto; poi utilizzarli in maniera goffa solo per smentirli, di nuovo ipocritamente, appena qualcosa va storto (leggi: ne beneficia il pilota “sbagliato”); o ancora confermare Webber per poi scaricarlo alla prima occasione, non sono grandi operazioni di immagine, ammettiamolo. E neanche la strategia migliore per compattare una squadra. Ferrari e Mercedes hanno coerentemente sostenuto la legittimità dei giochi di squadra, e visto che in fondo di scuderie, di team, di squadre appunto è fatta la F.1, sembra la posizione se non più nobile, almeno più onesta e realista. Lo ammettano anche quelli della Red Bull, e smettano di sentirsi un po’ troppo gli unti del signore. In fondo si tratta di dire le cose come stanno. Perché chi parla male, con linga biforcuta, spesso pensa anche male. E corre male.
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