Tiger Woods, un ruggito da numero 1

U.S. Open - Final Round

Non è come cadi che conta, ma come ti rialzi. La massima è di Vince Lombardi, l’esecuzione di Tiger Woods. Tre anni e mezzo dopo aver sradicato un idrante con il suo Suv ed essere finito in ospedale, preso a colpi di bastone dalla moglie Elin Nordegren infuriata per i suoi tradimenti seriali, Woods ha vinto (per l’ottava volta in carriera) l’Arnold Palmer Invitational ed è tornato numero 1 del golf.

Ci è riuscito con quattro giorni  da Tigre vecchia maniera, strappando con freddezza da neurochirurgo un ultimo round thriller all’immaturità di Rickie Fowler, che fino alla 16esima buca gli era stato alle calcagna e poi ha letteralmente fatto due buchi nell’acqua, sciogliendosi davanti alla classe superiore di Woods. Un finale di partita che tutti sognavano da una settimana: il vecchio campione Arnold Palmer che si commuove, Woods che lo abbraccia e ricomincia a strizzare l’occhio alla telecamera, Lindsey Vonn, la neo-filarina dello sciupafemmine che twitta civettuola. Magari avrà perso un po’ di capelli sotto il berrettino, Tiger, non il vizio di vincere. La settimana prossima all’Augusta Masters il suo rivale Rory McIlroy, il fidanzatino di Caroline Wozniacki che in Florida non era in gara, potrebbe riprendersi il primato. Tiger lo sa e ha rilanciato la sfida: «il ranking l’ho scalato a forza di tornei (già tre vinti nel 2013, ndr), ma mi sentirò davvero numero 1 solo quando riconquisterò uno Slam». Per ora è a quota 77 titoli nel PGA Tour (secondo assoluto dopo gli 82 di Sam Snead) e a 14 nello Slam, dove insegue il record di 18 del mitologico Jack Nicklaus. A 37 anni, e con questa forma, il tempo certo non gli manca.

Dal cucuzzolo del ranking Tiger era ruzzolato giù nell’ottobre del 2010, dopo due lunghi soggiorni  sul trono (264 settimane fra 1999 e 2004, e 281 fra 2005 e 2010), molti avevano dubitato che il fenomeno sarebbe riuscito a staccare un biglietto di ritorno dalla sua personalissima stagione all’inferno. Le rivelazioni del National Enquirer sulla torrida liaison con la spogliarellista Rachel Uchitel – e poi a cascata sulle altre decine di sue infedeltà  – il divorzio sanguinoso con la Nordegren (300 milioni di dollari per cucirle definitivamente la bocca), i sei mesi di stop agonistico, il distacco dai figli, l’abbandono dello sponsor, le cure per guarire dalla dipendenza sessuale e le operazioni al ginocchio e all’occhio sembravano paragrafi di un racconto di Scott Fitzgerald – crepuscolo e decadenza dell’eroe.

Invece la Tigre mezzo azzoppata dal 2010 in poi è rinata, seguendo la lezione di Lombardi e l’esempio di altre immensità sportive: Muhammad Ali, l’unico capace di riconquistare tre volte il titolo dei pesi massimi; Michael Jordan, con i tre anelli Nba vinti a Chigago dopo il primo ritiro; Niki Lauda campione del mondo dopo l’addio temporaneo alla F.1, e il vecchio amico di Tiger, Roger Federer, tornato n.1 del tennis nel 2012 dopo due anni di delusioni. Guarda caso il destino si è compiuto quando Tiger ha finalmente ammesso la love-story con Lindsey Vonn, campionessa del mondo di sci anche lei in cerca di resurrezione (agonistica) dopo l’incidente di quest’inverno. Cherchez la femme, insomma. Anche se nel caso di Tiger il proverbio va maneggiato con precauzione.

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