Il Nino è tornato bambino come non gli capitava da tempo, lo sguardo al cielo e la schiena sul pavimento, sdraiato e felice dentro una sala giochi di cui per sette mesi aveva temuto di aver perso la chiave. Contro molte, se non tutte le previsioni Rafa Nadal ha vinto il suo terzo titolo a Indian Wells, scattando e digrignando sull’odiato cemento come non gli si vedeva fare da anni. In finale ha seccato 4-6 6-3 6-4 l’argentino Juan Martin Del Potro, l’uomo che in semifinale aveva buttato fuori il n.1 del mondo Novak Djokovic. La proprietà transitiva nel tennis vale zero, ma il sorrisone grondanate sollievo e ottimismo dipinto sul volto dello spagnolo, e soprattutto la qualità e solidità di gioco che pare aver recuperato sono il perimetro di una notizia vera: Nadal è tornato.
Addio ai sette mesi lontani dal circuito, ai dubbi sul ricorso al chirurgo, al rovello sulla programmazione. Il ginocchio sinistro crepato dalla tendinite e dalla sindrome di Hoffa pare tornato efficiente, e al netto delle stantie malignità (uffa!) che circolano sempre sulle capacità di rinascita di Rafa, il tennis ha ritrovato – momentaneamente – i suoi Fab Four. La vittoria nella finale californiana è stata la 600esima in carriera per Nadal, un traguardo raggiunto solo da lui e da Federer fra i tennisti in attività (e da 20 in totale nella storia del tennis), che significa per lo spagnolo il 22esimo titolo in un Masters 1000, un record strappato proprio a Roger, oltre che la risalita al numero 4 del ranking ai danni del suo supplente iberico, David Ferrer.
«Quando riesci a rientrare come ho fatto io, ti tornano in mente tutti i momenti bui, i brutti pensieri che ho avuto in sette mesi», ha detto il Nino. «Questa è davvero una delle vittorie più emozionati della mia carriera. Ora pero di essermi lasciato tutto alle spalle, quello che non dimentico sono le persone che mi hanno aiutato in questo periodo difficile».Rafa, dopo il doloroso stop all’indomani di Wimbledon che gli era costato la sanguinosa rinuncia alle Olimpiadi e agli Us Open, era riapparso nel circuito a febbraio in sud america. A Vina del Mar si è rodato arrivando in finale e cedendo al miracolato Zeballos, poi ha vinto a San Paolo e Acapulco. Un atterraggio morbido.
Sul cemento però Rafa non arrivava in finale dagli Australian Open 2012, i dubbi sulla sua tenuta erano legittimi. Invece negli ultimi tre turni ha fatto fuori tre top 10 – Federer (che ha l’attenuante del mal di schiena), Berdych e Del Potro – e alla fine, sotto gli occhi di Bill Gates, è andato raggiante a stringere la mano a Larry Ellison, lo stramiliardario taumaturgo che quattro anni fa ha salvato il torneo, quasi defunto, trasformandolo in un mezzo Slam grazie ad una siringata di dollari. Nadal, che quest’anno ha un bilancio di 17 vittorie e 1 sconfitta ed è in striscia vincente da 14, saggiamente non giocherà a Miami (come Federer) per non sfidare la sorte e la tenuta delle sue cartilagini, e pazienza se la classifica ne soffrirà. Lo rivederemo sulla terra a Monte-Carlo, a metà aprile, e se sarà il Nadal visto in California, non quello un po’ piangina delle scorse settimane, per la concorrenza scatterà di nuovo l’allarme rosso. Perché un Nadal così, rotula permettendo, può anche tornare numero 1.
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