Ben Youngs all’ottantesimo calcia la palla in tribuna, e il sollievo degli 81 mila di Twickenham arriva come un respiro caldo nel vento siberiano che spazza lo stadio. Ecco l’inedito: l’Inghilterra, contro l’Italia, ha tremato dentro la sua Fortezza. «Siamo sopravvissuti – ammette Graham Roundtree, vice-allenatore dell’Inghilterra – ma in tribuna abbiamo avuto davvero paura». Specie in quei tre dannati, snervanti minuti, dal 75’ al 78’, in cui la marea azzurra ha premuto nei “ventidue” inglesi nel silenzio dello stadio: a tre metri, due passi, un soffio dalla meta del pareggio, fino all’ in-avanti di De Marchi. Spariti i cori, il british pride ostentato durante l’ingresso delle squadre, e “God Save the Queen” cantato come se l’Impero ancora ci fosse. Macchè, nemmeno un “sweet low sweet chariot”, solo una tensione livida come il cielo sopra Londra. Dicono «a massive scare» gli inglesi, tradotto significa una fifa matta. Perché hanno fatto più punti di noi, ma non ci hanno battuti: il vecchio adagio del rugby inventato da Syd Going per spiegare l’eterno spread fra cuore e statistiche che si incontra giocando a Cardiff contro il Galles, stavolta sta benissimo cucito addosso all’Italia.
Gli azzurri hanno perso 18-11 nella miglior partita mai giocata a Twickenham, una sconfitta che profuma di mezza vittoria. Una meta a zero per noi, e contro l’Inghilterra non ci era mai accaduto. Un tempo pari: 12-3 per la Rosa il primo, 8-6 per noi il secondo. Con la trasformazione e il piazzato (difficili) mancati da Orquera, lo scarto sarebbe stato minimo. Numeri che non fanno classifica, ma che insieme all’onore del “man of the match” assegnato dalla BBC a Andrea Masi – una partita immensa, e 8 punti di sutura alla fronte, alla fine una faccia che sembrava quello di un giacobino sceso dalle barricate – danno la misura di quanto sia cresciuta l’Italia con Brunel.
Nel primo tempo Flood & Co hanno dominato, ma senza schiantarci, 4 punizioni contro una, l’Italia però con una fantastica azione a due fra Zanni e Parisse, innescata da un sottomano stile Magic Johnson del capitano, è arrivata quasi in meta: Clancy, l’arbitro irlandese nell’occasione ha fischiato un in avanti, «che chissà se c’era», come ha chiosato Brunel. Il giallo rimediato da Gori al 30’, per una trattenuta su Flood lanciato a meta dall’intercetto su uno sciagurato calcetto ci è costato 6 punti, e nel secondo tempo tutti si aspettavano il bradisismo azzurro. Che però non c’è stato, anzi. Una punizione di Orquera al 50’, 12 minuti dopo la meta di McLean imboccato da un lobbettino felpato, maradonesco, sempre di Lucianino che ha cavato il meglio da una sbananata di Danny Care. Flood ha piazzato l’ultima punizione al minuto 62, poi è stata solo Italia: nessun complesso di inferiorità, molto corazon, qualche errore. «Nel secondo tempo abbiamo dimostrato carattere, ambizione – ha analizzato Brunel – abbiamo avuto possesso e dominio, ma non punizioni a favore. Gli inglesi sono stati più disciplinati… Secondo l’arbitro». Ironia sottile, e giustificata, che sta tutta in quella pausa. «L’Italia è una squadra che nessuno può più battere facilmente – ha riconosciuto Lancaster, il ct inglese – oggi le va dato grande credito per gli ultimi 20 minuti». Assieme a masi la targa dell’Mvp l’avrebbero meritata anche McLean, Zanni, Parisse. E scalda il cuore aver visto Garcia e Canale difendere così, o Cittadini non far rimpiangere affatto l’uscita di Castrogiovanni al 28’ (botta alla coscia, Irlanda in forse), e comunque tutte le riserve, da De Marchi a Favaro, perfettamente all’altezza della situazione.
Contro la Francia e l’Inghilterra la nazionale ha giocato a livello assoluto, restano le due partitacce contro Scozia e Galles: più facile vincere da sfavoriti che sotto pressione? «A volte siamo noi giocatori che ci mettiamo addosso più tensione del necessario», ammette il vice capitano Ghiraldini, supplente di Parisse impegnato a rilasciare fluidi per l’antidoping.
«Abbiamo la volontà, ma non ancora la qualità che ci serve per essere una grande squadra», taglia corto Brunel. «Rispetto al Galles oggi avevamo più gambe, e ha fatto la differenza. Ma occorre più precisione, e testa. C’è ancora tanto lavoro da fare, altri piani da alzare nella nostra costruzione». L’Irlanda, sabato prossimo, sarà un cantiere aperto.
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