Un naufragio. Una deriva, livida come il cielo sopra l’Olimpico, in cui alla fine abbiamo smarrito anche l’albero maestro, l’ancora di salvezza dei giorni meno felici: la mischia, la bussola degli avanti. Il monsone che ha infradiciato per ore il campo e l’assenza (dolorosissima) di Parisse sono attenuanti, ma non spiegano la insostenibile leggerezza con cui l’Italia si è smarrita a Roma contro il Galles (9-26). La seconda batosta consecutiva, dopo l’ubriacatura con la Francia. Un passo avanti, due indietro, considerato che fra quindici giorni ci aspetta l’Inghilterra a Twickenham, l’orizzonte di un Sei Nazioni che prometteva gloria si rabbuia pericolosamente.
Nel primo tempo siamo rimasti incollati al punteggio partita grazie ai due calci di Burton, contro i tre del prodigioso Halfpenny (mezzapiotta, in romanesco). A inizio del secondo le nostre chance si sono però inabissate nel giro di 4 minuti, stile Titanic: meta mancata di Benvenuti, che ha tentato di raccogliere invece di toccare con piede un furbo calcetto di Burton; meta subita su una bambola imbarazzante dello stesso Burton (ieri veramente inguardabile) e di Botes che scontrandosi hanno liberato l’incredulo Jonathan Davies. La dura legge del rugby.
In un match che pareva uscito dagli anni ’70 i dragoni non hanno fatto moltissimo, piazzando poi la seconda meta con l’Italia in 14 per un giallo a Castrogiovanni – anche il capitano ha abbandonato la nave, sigh… – ma noi abbiamo fatto davvero troppo poco. Palle perse, zero estro, e una sconcertante gracilità in mischia chiusa. L’impressione è che la cura Brunel, che ci ha resi più spregiudicati nel creare gioco, ci abbia indeboliti nella guerra di trincea. L’unica allegria, nel naufragio, sono i 59.725 che anche sotto la pioggia hanno farcito l’Olimpico. «Sì – ammette il ct – oggi siamo più a nostro agio contro squadre aperte come gli All Blacks, l’Australia o la Francia che contro la Scozia o un Galles così grintoso, in giornate come queste. Non ci sappiamo adattare. Oggi abbiamo pagato sin dall’inizio gli errori al piede, nell’occupazione del territorio, in mischia».
Manca l’equilibrio, il mantra di Brunel, e Castrogiovanni, capitano deluso, non elemosina scuse dopo le paroline acide contro l’arbitraggio a fine match. «No, dobbiamo guardare prima ai nostri errori. La vita è fatta di alti e bassi, oggi abbiamo fallito e io detesto perdere persino alla play-station. Ma questra squadra ha qualità. Possiamo ancora finire alla grande il torneo, ve lo prometto». Vogliamo credergli, ma diamo un’occhiata alle scialuppe di salvataggio.
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