Italia-Galles all’Olimpico sarà una sfida sicuramente pacifica, ma tutt’altro che amichevole. In campo vanno le due squadre che hanno smontato la (presunta) grandeur francese, gli azzurri nella prima giornata, i dragoni nella seconda, all’orizzonte per noi c’è un bivio: perdere ancora dopo la batosta con la Scozia e rientrare nei ranghi in attesa della durissima trasferta a Londra; o battere il Galles e guadagnarci un Sei Nazioni finalmente da sciùri. E guarda caso, a timonare la mischia con il numero 8, quello dell’uomo che sigilla il pacchetto e suona la carica quando c’è da spostare la frontiera mobile sul campo, saranno due figli dell’Oceano più lontano.
Manoa Vosawai, il fijano di Treviso è stato chiamato da Jacques Brunel a coprire la pesante, sanguinante assenza di Sergio Parisse, squalificato – ingiustamente secondo il ct – per una parolina detta nel campionato francese. Il capitano di nos otros per l’occasione sarà Martin Castrogiovanni, ma sulle spallone di Manoa, 29 anni, nato a Suva, da nove anni in Italia, prima a Parma poi dal 2010 alle corte dei Benetton, cade una responsabilità pesante come un atollo: Parisse è uno dei “ball carrier” più forti del mondo, un talento raro; il “pericolo numero 1” come l’aveva definito il coach dei gallesi, Rob Howley, che ora si sfrega le mani. Vosawai ha debuttato con la nazionale nel 2007, giocando anche in un Italia-Portogallo ai Mondiali di quell’anno, ma conta solo dieci caps perché gli infortuni lo hanno spesso frenato. «Ora però sono prontissimo – spiega – Sergio è uno dei giocatori più forti del mondo, io spero di sostituirlo degnamente, anche perché sono un numero 8 naturale».
Brunel nel ruolo lo ha preferito a Zanni perché Vosawai – che è stato naturalizzato dopo aver giocato nella u.21 delle Fiji, che ha una futura moglie italiana, Chiara e sogna di pilotare aerei, non solo mischie – è più attaccante del friulano, più portatore di palla appunto, che placcatore. Del resto l’aggressività è il forte degli isolani e anche di Toby Faletau, l’argento vivo e brunito del Galles, nato 21 anni fa sul bordo di un vulcano a Tofoa, nelle isole Tonga, ma cresciuto a Ebbw Vale, nelle valleys. A trascinarlo fra i minatori è stata la bravura di papà Kuli, seconda linea scoperto durante un tour nel Pacifico da Phil Kingsley Jones, l’ex-manager di Jonah Lomu, ed emigrato in cerca di fortuna con la benedizione dell’allora re di Tonga, Taufaʻahau Tupou IV. Come per Manoa l’adattamento al clima tutt’altro che equatoriale dell’Europa non è stato facile, ma l’integrazione è riuscita. Vosawai parla ormai un italiano impeccabile; Toby, nato ala e riconvertito terza linea, si esprime in gaelico, da vero bardo della meta. Nulla di strano. I giocatori delle isole sono una forza lavoro pregiata e ricercatissima del rugby: agli ultimi mondiali rappresentevano il 20 per cento dei giocatori totali, e oltre che nelle tre nazioni isolane otto giocavano con gli All Blacks, sette nell’Australia e negli Usa, tre con il Giappone. Che il nostro successo oggi dipenda anche da Vosawai, insomma, è pacifico.
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