Danica Patrick & Co, belle e vincenti al volante

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Una volta hanno chiesto a Bernie Ecclestone cosa ne pensa delle donne in F.1. «Okay – ha risposto – ma trovatemene una che sia perfetta per il marketing: nera, bellissima, con un look stupendo, possibilmente ebrea o musulmana, e che parli spagnolo». Cinismo comprensibile.

Tutti gli sport, dal tennis al golf, dall’atletica alla pallavolo, sono alla ricerca dell’Atleta Perfetta: bella, brava, sexy, smerciabile agli sponsor. Maria Sharapova, Veronica Vonn, Irina Isinbayeva, Federica Pellegrini. Gli americani, più pragmatici, hanno già trovato da tempo diva delle quattroruote: Danica Patrick, la pin-up dai lunghi capelli neri che fra uno spot sexy e l’altro e l’altro svernicia molti colleghi maschietti. A Daytona  Danica ha piazzato un tempone che resterà storico: 45” 817, che significa prima pole di sempre per una donna nella Nascar, la categoria più dura e pura dell’automobilismo americano, la più seguita e sanguigna, che con le stock-car, le macchine “con il baule” derivate (molto alla lontana) da quelle di serie, incendia i cuori da corsa soprattutto negli ovali del deep south tradizionalista, indipendentista, e molto maschilista.

Danica peraltro l’ha sempre detto: «Io sono nata per essere il pilota più veloce, non la ragazza più veloce». La vamp bruna  quando si toglie il casco indossa tacchi a spillo e lingerie di Victoria’s Secret: in camera da letto, ma anche sul lucido delle riviste yankee. Sotto il baby-doll però, come ha confermato anche a Daytona, la sostanza c’è. Gas di scarico, non solo profumi, sparsi con malizia feroce sulla visiera di molti colleghi.

L’anno scorso era riuscita a staccare il primo posto sulla griglia nella Nationwide Series, una categoria minore della Nascar (c’era già riuscita Shawna Robinson nel 1989), stavolta partirà davanti a tutti nella Sprint Cup, nella gara che conta. «Fra 20 o 30 anni, quando ci ripenserò – ha detto Danica – sentirò di aver fatto qualcosa di veramente grande nelle corse». Fra il 2005 e il 2011 Danica, 1 metro e 57 e 45 chili di energia pura – dimensioni che, va detto, la agevolano nella lotta per la pole con pesi massimi da oltre 100 chili come Tony Stewart… – ha corso nella IndyCar. E anche lì era passata alla storia, tingendo per la prima volta una gara di rosa, a Motegi nel 2008.

La ragazza americana è stata anche l’unica donna nella storia a condurre per qualche giro la mitica 500 Miglia di Indianapolis, strappando alla fine un terzo e un quarto posto. Ha ormai  superato in quanto a fama e splendore la bonda e caruccia Sarah Fisher, che dopo essere entrata nel Guinness come più giovane driver donna della 500 Miglia (19 anni nel 2000), oltre che la terza in assoluto dopo Janet Guthrie e Lyn St. James nel 2010 ha appeso il casco al chiodo dopo 25 anni di battaglie in pista. Nel 2002 la McLaren le fece fare due giri di esibizione a Indianapolis, prima del GP di F.1, e qualche tempo fa  aveva sfidato proprio Miss Patrick. Il top delle quote rose lo si è raggiunto nel 2010 quando la IndyCar nel GP di Chicago del 2010 ha portato al via cinque donne: alla Patrick e alla Fisher già nel 2008 si era aggiunta la procace e simpatica Milka Duno, venezuelana dal piede leggero, ma capace di smuovere pesanti sponsor del suo Paese, mentre oggi è ancora nel paddock la svizzera Simona De Silvestro  che in quella occasione fu in pista, affiancata anche da Ana Beatriz . Tutte, se vogliamo, nipotine ruggenti di Janet Guthrie, ingegnere aerospaziale e prima donna a penetrare nel sacro anello di Indianapolis, nel 1976; e di Lyn St. James, la “zia Lyn”, che debuttò sugli ovali nel 1973, ma dovette aspettare 19 anni per correre la sua prima 500 Miglia a Indy.

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La più grande di tutte, se usciamo dalle ruote scoperte e dalla pista, è stata però sicuramente Michelle Mouton, la rallysta francese che che nel 1982 lottò strenuamente contro Walter Rohrl arrivando seconda nel Mondiale, e che in carriera vinse ben 4 prove iridate: Sanremo, Acropoli, Portogallo e Brasile. Gli sterrati peraltro hanno trovato oggi la loro top-model: Inessa Tushkanova, ucraina, 23 anni, già apparsa sulla copertina di Playboy. Roba da provocare sbandate poco controllate – anche e nell’ultimo rally a cui ha partecipato a capotare è stata lei… – e comunque capace di  arrivare anche sesta in una prova del campionato del suo Paese. Un’altra capace di far mangiare la polvere ai maschi è stata Jutta Kleinschmidt, che nel 2001 guidando una Mitsubishi vinse la Parigi Dakar, mentre per quanto riguarda le moto nel 2001 e nel 2002 Katjia Poensgen mostrò le sue indiscutibili doti a cavallo di una Aprilia nel Mondiale 250, ottenendo come miglior risultato un 14esimo posto al Mugello.

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Anche in F.1 le ragazze hanno messo piede. Ma con vicende transitorie, effimere. La prima in assoluto fu Maria Teresa de Filippis, napoletana, classe 1926 che nel 1958, su Maserati 250F, fu decima nel GP del Belgio, e si qualificò in altre due gare sulle sei in totale a cui iscrisse, l’ultima su una Porsche RSK privata a Monaco nel 1959. A correre aveva iniziato per scommessa: i fratelli giuravano che non sarebbe mai stata in grado di guidare come uomo, lei si allenò sulla costiera amalfitana e a bordo di una Fiat 500 vinse la sua prima gara, la Salerno-Cava dei Tirreni. «Vai troppo forte, rischi inutilmente», le ripeteva Juan Manuel Fangio. Un anno dopo la De Filippis diede retta al campione gaucho e piantò la F.1, inorridita dai troppi morti di quegli anni. La più brava è stata però l’indimenticabile Lella Lombardi, l’unica capace di guadagnare un mezzo punto mondiale – la gara fu interrotta e i punteggi dimezzati – piazzandosi sesta nel GP di Spagna del 1976. Lella, che a 19 anni si guadagnava la vita trasportando carne sulla riviera ligure per conto del padre, in carriera ha partecipato anche alla 24 Ore di Le Mans e a una categoria della Nascar. Sempre nel 1976 nel Circus fece una breve comparsa Divina Galica. Sportiva poliedrica, l’inglese: da sciatrice ha partecipato a ben 4 Olimpiadi invernali (’64, ’68, ’72 e ’92), stabilendo anche il record di velocità per una donna britannica sugli sci: 200.699 km/h. Sulle gomme di una Surtess-Ford fallì le qualifiche in Argentina, ripetendosi in negativo su una Hesketh-Cosworth in Brasile. Ora vive in USA ed è vice presidente della Skip Barber, un campionato propedeutico americano, Elisabetta II l’ha nominata Member of the British Empire. Nel 1980 nel Circus sbarcò  Desiré Wilson, sudafricana. A bordo di una Williams-Cosworth non ufficiale anche lei toppò nelle qualifiche del GP d’Inghilterra. In qualche modo però la Wilson vanta una vittoria in F.1: nel 1981 a Brands Hatch, nella oscura British Aurora F.1, che raccoglieva monoposto smesse dalla “vera” F.1. Poi passò alla Champ Car, dove ha corso tra il 1983 e il 1986 ottenendo come miglior risultato un 10° posto. Ora vive in Sud Africa e continua a partecipare a manifestazioni con vetture storiche.

L’ultima a competere davvero nella massima serie, ancora un’italiana, è stata Giovanna Amati, passata alle cronache anche per un rapimento di cui cadde vittima quando era giovincella. La Amati – che secondo gli esperti di gossip ha avuto anche un flirt con Niki Lauda – partecipò a tre gare nel 1992 con un Brabham-Judd, in Sud Africa, Messico e Brasile, peraltro senza mai riuscire a qualificarsi. In F.1 a dire il vero hanno messo i piedini anche la 26enne inglese Katherine Legge – ma solo per un test sulla Minardi nel 2005 – e Suzie Stoddart, erede dell’ex-patron della Minardi e moglie del boss della Mercedes Toto Wolff, che questa’anno dopo aver lottato proprio con la Legge nel DTM sarà il tester della Williams in F.1. E’ durata purtroppo poco invece l’avventura della spagnola Maria de Villota, che durante un test privato con la Marussia l’anno scorsa si è schiantata, perdendo un occhio e rischiando la vita.

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Scendendo nelle categorie minori la passerella si allarga clamorosamente. Vanina Ickx, figlia del leggendario Jackie, ha gareggiato con i prototipi e le GT, e negli ultimi anni in F.3 si sono fatte notare pilotesse come Natacha Gachnang, cugina dell’ex-pilota di F.1 della Toro Rosso Sebastien Buemi, Cyndie Allemann, la brasiliana Bia Figueiredo e Pippa Mann- In Italia, va detto, non ce la caviamo affatto male. Fra le nuove leve italiane ci sono la bella Vicki Piria, che oltre a correre in GP3 ed è stata scelta come testimonial dalla Breil insieme con il calciatore della Roma Balzaretti,  Michela Cerruti, che correrà quest’anno nella prestifiosa F.3 europea. E Alessandra Neri, che ha debuttato nella F.Azzurra per poi passare al GT e forse piacerebbe anche a Ecclestone. Okay, di nero ha solo il cognome, non è ebrea né musulmana, non parla spagnolo. Però fa anche la modella. Per gli appassionati, il suo sito è www.alessandraneri.it

Comments

  1. Trovo l’articolo molto interessante, finalmente un articolo che tratta la presenza femminile nell’automobilismo in modo serio, quindi devo assolutamente farle i complimenti per questo.

    Tuttavia, vista la mia passione per i campionati americani, ci terrei a precisare alcune cose, senza alcun intento critico ma allo scopo di evitare confusione ai lettori, vista la poca importanza che i media italiani danno a queste serie.

    Innanzi tutto la serie in cui gareggiava Danica Patrick non è esattamente la stessa in cui ha gareggiato Alex Zanardi. Dagli anni 90 fino a pochi anni fa in America esistevano due campionati paralleli a ruote scoperte, IRL (Indycar, la serie di cui fa parte anche la 500 miglia di Indianapolis) e CART (Champ Car), concorrenti l’uno dell’altro. All’epoca di Zanardi la serie CART (quella in cui lui gareggiava) era la più importante, mentre perse d’importanza a partire da una decina d’anni fa, per poi essere acquistata, dopo il fallimento, dalla IRL. Di fatto, comunque, la Champ Car scomparve, in quanto i principali team erano già passati, per la maggior parte, alla IRL. Dal 2008 in poi ci fu un solo campionato, gestito dalla IRL.

    Aggiungo inoltre che il record del maggior numero di donne al via di una gara di Indycar non è di quattro, bensì di cinque: si tratta del gran premio di Chicago del 2010, che vide la presenza di Danica Patrick, Sarah Fisher, Milka Duno, Ana Beatriz e Simona De Silvestro, di cui solo la Patrick e la De Silvestro disputarono tutta la stagione.
    Tutte e cinque alcuni mesi prima avrebbero dovuto prendere parte alla 500 miglia di Indianapolis, ma alla fine presero il via soltanto in quattro dal momento che la Duno non riuscì a qualificarsi.

    A proposito di Sarah Fisher, di cui nell’articolo è scritto che si ritirò dalle competizioni dopo avere ottenuto una vittoria [“Sarah Fisher, che dopo essere entrata nel Guinness vincendo una gara della Indy Japan 300 a Motegi”], vorrei segnalare che in realtà la Fisher non ha mai conquistato vittorie (a Motegi vinse invece Danica Patrick come citato dall’articolo), il suo miglior risultato fu un secondo posto in gara nei suoi primi anni di carriera (nelle qualifiche invece riuscì a ottenere una pole position).

    Infine, tornando in Europa, non mi risulta che Giovanna Amati abbia mai avuto una relazione con Damon Hill, che anzi, all’epoca era già sposato con la sua attuale moglie, mi risulta semplicemente che sia stato Hill a prendere il posto della Amati quando lei fu messa a piedi dalla Brabham.
    Giovanna ha comunque avuto una relazione con Flavio Briatore negli anni 80-90 e fu probabilmente grazie a questo se riuscì a entrare in Formula 1 (il suo primo test, infatti, lo fece con la Benetton, di cui proprio Briatore era il team manager).

    Spero che il mio intervento non sia visto come scortese, ma ritenevo opportuno fare queste precisazioni.

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