Edimburgo è bella come sempre, sdraiata in fondo alla lastra dorata del del Forth e raccolta attorno al castello – la novità è che nazionale italiana ci vola sopra per la prima volta da favorita. E’ vero, con la Scozia l’abbiamo spuntata già sei volte, a partire dall’esordio nel Sei Nazioni, nel 2000 a Roma – il giorno della Grande Illusione – e compreso l’unica vittoria in trasferta, qui a nel 2007, l’anno delle due vittorie. Mai però eravamo sbarcati fra gli higlander con un’aria di superiorità. Il successo di domenica con la Francia ha cambiato la nostra allure nel torneo, una vittoria oggi rischia di cambiare la storia. Dovessimo espugnare per la seconda volta Murrayfield ci presenteremmo fra due settimane all’Olimpico contro il Galles addirittura con una chance – sentite i brividi… – di lottare per il trofeo.
Trattasi insomma di un esame di maturità se volete ancora più importante di quello appena passato a pieni voti. «Gli azzurri hanno giocato magnificamente con la Francia – scrivono i british, ammirati e appena un filo scettici – ora la domanda è: sapranno ripetersi?».Sarà per questo che ieri gli azzurri sul charter Air Dolomiti che li portava da Roma a Edimburgo parevano una comitiva di collegiali concentratissimi. Tutti con le cuffie insonorizzanti alle orecchie, ciascuno perso in fondo ai sogni suoi. Venditti con il naso tuffato in un manuale di biologia, Favaro impegnato in Sudoku, Pavanello ipnotizzato «Django scatenato» di Tarantino, Castrogiovanni alle prese con «i solisti sospetti», Gori spronfondato nella lettura del Don Chisciotte, Parisse impegnato da un solitario sull’iPad.
Per gli scozzesi, contusi dall’esordio diasastroso a Twickenham, è la partita dell’orgoglio e della disperazione. Non vincono una partita nel torneo dal 2011, quindici anni fa erano i padroni del Sei Nazioni, ora si ritrovano in fondo alla tavola, sfavoriti (di tre punti, secondo Planet Rugby) persino in casa, persino contro i tradizionali rivali nella sfida a ciapanò per il Cucchiaio di legno. Giocheranno alla morte, contando sulla velocità dei tre-quarti, sull’impatto della seconda linea dove spiccano i gargantueschi duecentosei – leggasi 206 – centimetri di Richie Gray e i 203 di Jim Hamilton. «Gli italiani non sono più da tempo la squadra materasso del rugby mondiale – si schemisce Scott Johnson, il ct dei Blu – e da un’anno e mezzo ormai giocano in maniera diversa, più aggressiva e matura». Il trappolone mentale è teso, il rischio dell’Italia è caderci mani e piedi, ubriacata da orizzonti per il momento ancora ipotetici.
Capitan Parisse sta lì proprio per questo, per predicare umiltà, per mettere il silenziatore all’entsiasmo. «E’ vero, se vincessimo domani avremmo la possibilità di giocare il nostro miglior Sei Nazioni di sempre, ma ancora non abbiamo fatto nulla. Abbiamo battuto la Francia, ma una vittoria all’anno sono dieci anni che la portiamo a casa. Sarà un match fisico, difficile, davanti al loro pubblico loro vorranno vendicare la brutta sconfitta con l’Inghilterra. Non siamo noi favoriti. La fiducia c’è, però la forza di questo gruppo sta nel non montarsi mai la testa». Assennato. Gli insoliti sospettati per la vittoria stavolta siamo noi, ma guai a combattere contro i mulini a vento della superbia.
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