Dal Cucchiaio di legno allo scettro del Sei Nazioni. Anche se siamo solo alla prima giornata il cambio di metallo e di status della nazionale di rugby è da ubriacatura, e qui non si parla di terzo tempo. Al massimo di terzo stadio.Dopo l’esordio del 2000 – anche allora vincemmo la prima partita, con la Scozia – il boom e un lungo apprendistato da figuranti, la vittoria di domenica contro la Francia ci ha proiettato nel ruolo dei protagonisti. L’Equipe piange sul “martirio” romano, i giornali british ci esaltano. Il passaggio da squadra materasso a dominatrice dei vice-campioni del mondo non è stato così repentino come può sembrare, del resto a novembre, con i 40 minuti da leoni contro gli All Blacks e la vittoria sfiorata contro l’Australia si era capito che qualcosa era cambiato.
Già due anni fa, al Flaminio, avevano sorpreso i francesi, che però allora peccarono di arroganza. Domenica no, li abbiamo messi sotto noi, aggredendoli, bloccando le loro fonti di gioco. Il cambio di passo è dovuto in sintesi a tre fattori. Il primo è l’adesione alla Celtic League, il campionato per club (con scozzesi, gallesi e irlandesi) dove siamo presenti con la Benetton di Treviso e le Zebre di Parma. Giocando insieme nella stessa franchigia e impegnandosi costantemente ad alto livello, contro avversari forti, i giocatori del giro della nazionale hanno compiuto un doppio salto di qualità, individuale e di reparto. «Sì, è merito della Celtic League – conferma “Ugo” Gori, mediano di mischia azzurro – siamo al terzo anno e si vedono i frutti in termini di grinta concentrazione, durata, intensità».
Il blocco della Benetton domenica ha fornito 8 giocatori, 15 con la panchina, al ct jacqus Brunel, che è l’altro tassello della nuova italia. Un allenatore latino ma pragmatico, che ha saputo liberare la creatività della squadra, convincendola a giocare in attacco: con “equilibre”, come recita il suo mantra, ma senza timori reverenziali. Infine l’Olimpico. Disporre di un stadio che è a livello di cattedrali del gioco come Twickenham, il Millennium di Cardiff o Murrayfield fornisce una consapevolezza diversa, e 70 mila voci si sentono più delle 30 mila scarse del Flaminio. Anche l’aver convocato gli azzurri del passato per la consegna dei caps domenica ha contribuito a “fare” tradizione: in campo la commozione ha creato elettricità. Sabato a Edimburgo ci aspetta un ulteriore esame, ma l’Italia del rugby è ormai diventata una nazione.
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