«Non è che gioco contro avversarie che potrebbero essere mie figlie. E che anche le loro madri spesso sono più giovani di me…». Ki (miko) l’avrebbe detto: la signora Date-Krumm, eterna bambina del tennis mondiale, agli Australian ha completato l’ennesimo miracolo e ha buttato fuori dal torneo la testa di serie numero 12, Nadia Petrova. Due set, 6-2 6-0, e a la maison. Il bello è che la Petrova, ex n.4 del mondo, è una veterana del circuito, a giugno compierà 30 anni. Ma la sorridente highlander Kimiko ne ha addirittura dodici – dicasi: dodici – più di lei. A 42 anni e 109 giorni è così diventata la più anziana vincitrice di un turno agli Australian Open.
Il record in uno Slam appariene alla inossidabile, probabilmente inarrivabile Martina Navratilova, che riuscì nell’impresa addirittura a 47 anni, nel 2004 a Wimbledon, ma l’impresa della Date resta impressionante. In tabellone al secondo turno ci sono ben 11 teen-ager, la più giovane, Donna Vekic, ha appena 16 anni e mezzo, ma la piccola Kimiko (1,63 per 53 chili) fisico da maratoneta e sorriso dolce da guerriera jedi, non sfigura affatto nel confronto. «Il mio segreto? Be’, mangio molto cibo giapponese, bevo molto, e dormo molto. Alle sette di sera ho finito di cenare, alle 10 sono già a letto, come i bambini. E’ una vita molto semplice». Il Giappone insieme all’Italia è uno dei Paesi dove si vive più a lungo, Kimiko è la prova che anche il tennis può essere un paese per maturi. Specie se ogni tanto ti prendi una vacanza. Anzi, una lunghissima vacanza visto che per 12 anni, fra il 1996 e il 2008, Date il tennis lo ha lasciato proprio perdere.
Sposata dal 2001 al corridore automobilistico tedesco Michael Krumm, Kimiko nella sua prima vita da tennista era arrivata n.4 del mondo, aveva raggiunto i quarti alle Olimpiadi di Atlanta, in semifinale a Wimbledon, al Roland Garros e a New York, e vinto 8 tornei Wta. Poi si era scocciata. «C’era tanta, troppa attenzione per me quando ero giovane», racconta. «A quei tempi non c’erano tanti sportivi famosi in Giappone e in Oriente, non tanti che giocavano all’estero. Non avevo quasi tempo da dedicare a me stessa, non amavo tanto il tennis. Oggi in giro ci sono persino campionesse cinesi, come Li Na, la Zheng, la Peng. Quindi sono felice, non gioco per inseguire i record, ma perché mi diverto. Persino quando perdo».
Con il suo tennis-sushi, piatto, aticipato, leggero come una farfalla e pungente come un’ape, Kimiko a molte avversarie cresciute a dritto e vitamine fa l’effetto di un pesce esotico: apparentemente inoffensivo, effettivamente letale. «Certo, mi piace competere ad alto livello, gioco per vincere. Era da tempo che non ottenevo un successo con una giocatrice come Nadia, all’inizio dopo il mio rientro è stata dura, il mio fisico ha sofferto, ho patito molti infortuni. Adesso va meglio, ho anche cambiato tipo di allenamento, sono passata l’allenamento funzionale. Ma anche se perdo, il mattino dopo ho sempre voglia di andarmi ad allenare». Kimiko ha debuttato come professionista nel gennaio 1984, sei mesi prima della nascita di Victoria Azarenka, l’attuale n.1 del mondo. Nel 2009, a 39 anni, è tornata a vincere un torneo Wta, quello di Seul, dove aveva già troonfato nel 1996, sfiorando il recod di Billlie Jean King, trionfatrice a Birmingham nel 1983. Quanto potrà andare avanti così, nonna Kimiko? Il suo tennis, per ora, non ha… date.
«E’ una domanda che mi fanno tutti gli anni, da quando sono tornata a giocare. Non riesco ad immaginare la Williams o la Sharapova gocare ancora alla mia età, ma io ho avuto un break di 12 anni. Io conto di continuare almeno fino alla fine dell’anno, poi non so. Un infortunio mi può sempre capitare, ma io continuo, mi alleno e cerco di dormire molto. 42, in fondo, è solo un numero».
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