Wu, who? In inglese il gioco di parole è divertente. Chi sarà mai questo Wu che si affaccia nel mondo del tennis agli Australian Open, primo cinese ad approdare (grazie ad una wild card) in un torneo dello Slam dai tempi di Mei Fu-Chi, l’oscuro antenato contemporaneo di Mao capace di passare un torno a Wimbledon sia nel 1958 sia nel 1959?
Mettiamola così: Wu Di, questo il suo nome completo, è il fratellino minore di Na Li, la superstar del tennis cinese, vincitrice del Roland Garros nel 2011 e attualmente numero 6 del mondo. A riportare il tennis del celeste impero sulla mappa del tennis sono state le donne – la stessa Na, Jie Zheng, Sun Tiantian e Li Ting – i “fiori dorati” sbocciati in vista delle Olimpiadi di Pechino che hanno sdoganato uno sport che il Grande Timoniere Mao riteneva decadente e borghese.
I maschi finora nella Repubblica Popolare Cinese sono rimasti boccioli, radicette, germogli stenti. Giudicati inadatti a competere con i rivali occidentali da un establishment sportivo che aveva già deciso che il rinascimento tennistico cinese sarebbe stato dipinto di rosa, mentre i maschietti dovevano limitarsi a tornei nazionali. E colpiti nell’orgoglio dai successi di un cinese dell’odiatissima (dai politici) Taiwan, Yen-Hsun Lu, capace di arrivare fino al n.33 del mondo nel 2010.
«Non è che gli uomini cinesi non hanno il fisico, è che non sono forti mentalmente come noi donne – spiegava qualche tempo fa proprio Na – Non sanno pensare in grande». Sembrava disprezzo, era rammarico. Wu ha 21 anni, e quanto a fisico non è certo un colosso, anzi: un metro e 73 di altezza, 66 chili sulla bilancia. Un peso mosca, nel tennis di oggi, attualmente n. 186 e secondo tennista di Cina dopo il più aitante (188 per 83 chili) Zhang Ze.
Wu però viene da Wuhan proprio come Na, la sorella maggiore acquisita che ha deciso di svezzarlo, prendendolo sotto la sua ala protettrice. Lo ha voluto con sé negli allenamenti fin da quando Wu aveva 15-16 anni, e lui docile docile l’anno scorso a Londra le ha fatto anche da sparring partner durante le Olimpiadi e da compagno in Hopman Cup. «E’ un ragazzo molto simpatico e divertente, e ha anche molto talento – ha raccontato a Melbourne Na a Chris Clarey, inviato dell’International Herald Tribune – Fino a qualche tempo fa ero un po’ rattristata dalla sua vicenda, perché lo consideravo un buon giocatore ma non aveva un coach. Ma l’anno scorso ne ha trovato uno, che ora lo sta motivando e aiutando molto». Il motivatore si chiama David Moreau, è stato coach di Joachim Johansson, e a presentarlo a Wu è stato Guillaume Payre, l’ex-mentore di Baghdatis che da tempo si occupa di tennis in Cina.
I due si sono incontrati a Shanghai, si sono allenati per due settimane – sempre con l’aiuto di un traduttore -, si sono piaciuti. «Wu Di è rimasto contento di me, io ho intravisto in lui un buon potenziale, così non ci abbiamo impiegato molto a metterci d’accordo». Wu e Moreau hanno viaggiato insieme in Uzbekistan, a Londra e poi si sono allenati insieme per un paio di mesi a Digione, dove fa base l’accademia tennistica di Moreau. Nel febbraio 2012 il cinese era n. 512 Atp, in pochi mesi ha guadagnato quasi 250 posizioni, ma per il suo coach francese ha il potenziale per entrare fra i top-150.
«Sono contento di quello che ho fatto – dice Wu – ma non posso certo inorgoglirmi troppo». Vero. Lo sport cinese negli ultimi 10,1 5 anni ha conosciuto un fiorire di personalità a livello assoluto, campioni in grado di conquistare il pubblico della Nba e le arene di atletica mondiali come Yao Ming e il primatista dei 110 ostacoli Liu Xian, per farsi un nome nel tennis occorrono ben altri risultati di quelli per ora modestissimi di Wu Di. Un boom del piccolo Di sarebbe un bene anche per il tennis. La Cina ha un mercato potenziale ovviamente enorme, con 30 mila campi e 14 milioni di praticanti (stimati), con 400 mila agonisti che secondo le autorità sportive locali sono destinati a crescere del 15 per cento ogni anno. Secondo il suo agente Max Eisenbud, che è anche il manager della Sharapova, Li “vale” 40 milioni di dollari nei prossimi tre anni.
Un top-10 maschio, un Federer made in Bejing potrebbe arrivare a cifre impensabili. Roger è anche l’ovvio “role model” di Ze e Di, che però sono consci di doversi trovare per il momento esempi più modesti. Nel caso di Wu il fisico minuto è un ulteriore problema. E’ velocissimo in campo, ha sensibilità nel braccio, ma con il servizio proprio non ci siamo. «Essere alto è importante, ma non è la cosa più importante – sostiene lui – E poi questo è il corpo che mi ha dato il cielo, quindi devo farmelo piacere». Una volta che hai deciso di lottare, diceva Mao, tutti i miracoli sono possibili.
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