Alessandro Zanardi è lo sportivo dell’anno: per noi de La Stampa, ma non solo. Un personaggio travolgente, fantastico, che ho intervistato di recente e il cui pensiero mi sembra giusto riproporre anche qui a Curiosi di Sport. Perchè Alex per lo sport, e per il mondo in genere, ha una curiosità divorante e contagiante.
A novembre durante Handimatica, un forum sulle tecnologie per disabili nella sua Bologna, un ragazzino non vedente si avvicina a Zanardi. «Mi abbraccia – racconta Alessandro – sente le protesi sotto i pantaloni e mi dice: te devi aver preso una gran botta, vero?». Una botta che avrebbe spezzato molti. Non lui, ex pilota di grido in F.3 e F.3000, due volte campione IndyCar, idolo delle folle fra la via Emilia e il West che quel 15 settembre, centrato dalla monoposto di Tagliani sulla pista del Lausitzring, si ritrovò in un attimo «da un metro e 75 che ero, alto poco più di un metro». Amputazione traumatica di entrambe le gambe, cinque arresti cardiaci, l’estrema unzione. Poteva essere la fine. E’ stato un secondo inizio. «Zanna» è tornato a correre, nel 2005 ha vinto il campionato mondiale turismo. Quest’anno sull’asfalto di un circuito che conosceva, Brands Hatch, a bordo di una hand-bike messa a punto dalla stessa Dallara automobili che costruiva le sue F.3, ha vinto due medaglie d’oro e una d’argento alle Paralimpiadi di Londra. L’atleta dell’anno, l’esempio che nella vita si può ricominciare sempre, comunque. Che puoi rialzarti anche se i piedi non li hai più. Senza lamentarti, con sovrana ironia emiliana: «I miei difetti? Sono pigro, un po’ disorganizzato. Del resto in famiglia la testa è mia moglie Daniela. Io sono le gambe».
Da figlio dell’idraulico Dino e “della magnifica casalinga” Anna a pilota e medaglia d’oro: come si diventa Zanardi? «Messa così sembra qualcosa di speciale, ma il segreto è scegliersi un orizzonte e decidere che è quello che vuoi raggiungere. Sono molto curioso, a volte quando raggiungo l’obiettivo mi scoccio anche perché la cosa appagante era il percorso. Se invece sei mosso solo dall’ambizione rischi di non arrivarci nemmeno, al traguardo».
Sfide. «Ho scoperto l’attività paralampica attraverso l’hand-bike, finchè questa vecchia carcassa tiene botta ho voglia di continuare a fare sport, piuttosto che commentarlo o gestirlo. “Sfide” invece è un’esperienza che si apre e si chiude, e poi parlare di passione per lo sport è molto nelle mie corde».
Normalità. «Con la Dallara stiamo pensando a una hand-bike per normodotati ma che possa poi essere adottata da chi ha solo le braccia. Mi vedo molto nell’officina del mio giardino, a tornire, saldare, fresare. Qunado posso concedermelo, sono felice».
Paternità. «In America sul gradino più alto del podio mi inseguiva spesso una malinconia: Dio buono, se mio padre fosse qui a vedermi. Poi diventi padre a tua volta e ti capita di vedere tuo figlio Niccolò che a rubabandiera riesce a prendere il fazzoletto, corre e ti abbraccia felice di quella piccola impresa, e ti esplode il cuore dall’emozione. Allora capisci che a contare non è tanto il dove riesci a ottenere una vittoria; ma il come. Io sono arrivato a Londra perché mi piace andare in bicicletta, non sono salito in bicicletta perché volevo arrivare a Londra».
Sogni. «Da ragazzino era Imola, un sorpasso in staccata all’ultimo giro, con il pubblico in delirio, dopo una rimonta pazzesca. Chiaramente alla guida di una Ferrari. L’avversario non aveva un volto, e neanche il mio compagno di squadra. Che però, grazie alla mia impresa, vinceva il mondiale. Magari un Jody Sheckter, tanto per capirci, e io il Villeneuve della situazione».
Pistorius e le Olimpiadi. «Per dirla alla bolognese Oscar è un “buon cinno”, un bravo ragazzo. Giusto che abbia corso alle Olimpiadi, ma bisogna chiarire: avremmo bisogno di una giuria di tecnici, e non di filosofi, che sancisca la regolarità della gara. Non è solo un diritto di Pistorius correre. Anche i suoi avversari devono essere sicuri che, se Oscar li batte, l’unica cosa da fare è stringergli la mano. Fra l’altro credo che se Pistorius dopo tutti gli esami avesse mostrato la capacità di competere per la vittoria non gli avrebbero permesso di partire».
Ferrari. «In F.1 Vettel ha vinto meritatamente, ma Alonso è stato un marziano. La Red Bull era più veloce, però come tifoso mi sarebbe piaciuto che la Ferrari fosse riuscita a regalare a Fernando due decimi al giro. Se mi piacerebbe salire su una Ferrari di F.1? E’ come chiedere a un gatto se gli piacciono i topi. Scriviamolo: così magari a qualcuno viene l’idea. Sono molto amico di Stefano Domenicali, dopo Londra un paio di sue chiamate mi erano scappate. Così la settimana successiva alla conferma di Massa, quando mi ha richiamato, gli ho risposto: confessa che sei arrabbiato nero perché non mi hai trovato e ti è toccato riconfermare Felipe…».
Emozioni. «Dopo la mia prima vittoria nel mondiale turismo, nel 2005, la gente mi chiedeva: «cosa pensi di fare?». Il sottotitolo era “…perché nella tua condizione non potrai mai competere alla pari”, ma io davvero pensavo di potercela fare. Sul podio ho chiuso gli occhi e in tre secondi mi è passata la vita davanti. Come a Londra, quando sono sceso dalla bicicletta e mi sono chinato a baciare l’asfalto. Ho sentito il contatto delle labbra con quell’elemento così importante per me e ho rivisto mio padre con la “cagnetta” in mano, i tempi del go-kart, l’America, l’incidente, il ripartire».
Dio«Credo che in tutti noi ci sia una coscienza che ci permette di capire cosa è giusto e cosa è sbagliato, anche senza leggere un testo religioso. E’ la parte che Nostro Signore ci ha donato. Credo che esita una sorta di albero madre, come nel film “Avatar”. Mi rifiuto di pensare che siamo figli di una fortunata combinazione di elementi chimici».
L’incidente. «Se potessi cambiare solo l’esito di quel giorno, non lo farei. Non credo che accetterei il rischio di essere molto più infelice di quanto sono oggi».
Obiettivi. «Il campionato del mondo, qualche gara internazionale. Aggiungo la folle idea di partecipare di nuovo alla maratona delle Dolomiti, la più bella gara italiana. Si articola su tre percorsi: 55, 109 e 138 chilometri. Quello da 55 l’ho già fatto, vorrei buttarmi sui 138. Sono 4000 metri di dislivello, un’impresa titanica».
Agenda Zanardi. «Per la politica al momento non mi sento pronto, in futuro chissà. Preferisco dedicarmi alla solidarietà, anche attraverso l’associazione “bimbi in gamba” che ho contribuito a creare. Da politico riformerei il sistema scolastico: occorre pretendere di più dai nostri ragazzi, ma regalando loro gli strumenti per rendere più competitivo lo studio, prevedendo più importanza per lo sport. E se domani facessero un partito senza ideologie, ispirato al buonsenso e fatto da sole donne, lo sosterrei. L’unica cosa che noi uomini siamo in grado di fare in maniera nettamente superiore è parcheggiare. Per il resto ci battono dieci a zero in tutto».
Zanna, si conferma sempre uno in “gamba”, fossero tutti come lui…